Nel 2005 il Segretario di Stato americano Condoleeza Rice già lo definiva «l'ultimo dittatore d'Europa». A 15 anni di distanza il presidente bielorusso Alexander Lukashenko continua a far del suo meglio per tener fede a quell'immagine. Domenica, mentre i dimostranti riuniti in piazza Indipendenza, davanti al parlamento di Minsk, urlano «vattene via» lui se ne sta tornando in elicottero alla propria residenza. Ma non rinuncia a mostrar il suo volto. Dal velivolo, atterrato davanti al palazzo presidenziale emerge un Lukashenko in giubbotto anti proiettile con un vecchio kalashnikov in spalla. Tra gli applausi delle guardie schierate a proteggerlo il presidente stringe in pugno il mitragliatore e l'alza al cielo. «Mostrategli questo - urla - e scapperanno come topi». Intanto dietro a lui s'accomoda Nikolai, figlio quindicenne regalatogli da una madre sconosciuta già promosso a suo naturale erede. Un erede costretto, fin dalla più tenera età, a presenziare a tutti gli incontri del presidente e a cui diplomatici, ministri e generali si sono abituati a stringere la mano con calore e devozione. Così quando Nikolai trotterella dietro a papà esibendo pure lui un giubbotto anti-proiettile e un kalashnikov nessuno in Bielorussia si stupisce più di tanto. E non sorprende neppure che, da ieri, le forze di sicurezza abbiano dato il via a una nuova campagna di arresti interrogando pure la scrittrice premio Nobel Svetlana Alexievich colpevole d'intrattenere contatti con l'opposizione.
Molti però si chiedono se «batka» il babbo, come continuano a chiamarlo i sostenitori, non senta il terreno franargli sotto i piedi. L'Europa con cui ha tentato di flirtare durante la campagna elettorale ha già liquidato come un palese broglio la sua sesta rielezione. Ma la delegittimazione rischia di spingersi molto più in là. Ieri Berlino ha presentato una richiesta di «pieno chiarimento» sul ritrovamento, nei giorni scorsi, dei cadaveri di alcuni oppositori. E il portavoce Steffen Seibert ha chiesto anche l'immediato rilascio degli attivisti arrestati durante le manifestazioni. Con il Cremlino le cose non vanno meglio. Vladimir Putin non ha dimenticato i tentativi di prendere le distanze da Mosca culminati, a luglio, con l'arresto di una trentina di presunti «mercenari» russi accusati di voler seminare disordini in vista del voto. E così ieri, il portavoce Dmitry Peskov ha sottolineato come non ci sia «bisogno di misure dure da parte delle forze di sicurezza» vista l'assenza di «provocazioni» da parte dei dimostranti. Dietro a quel «consiglio», diffuso attraverso i media internazionali all'indomani dell'esibizione del presidente con Ak e giubba antiproiettile, molti intravvedono la richiesta di abbassar la testa e attendere le decisioni del Cremlino. Le opzioni non sono molte. La più semplice sarebbe quella sperimentata 31 anni fa quando un Nikolai Ceausescu, ormai poco allineato con Mosca, venne fatto fucilare dagli stessi generali a cui chiedeva di spegnere le proteste. Ma le ripercussioni del caso Navalny e le imminenti elezioni locali capaci di mettere alla prova, per la prima volta, la popolarità di Vladimir Putin richiedono soluzioni più soffici e graduali.
La più gradita allo Zar sembra quella di una progressiva emarginazione di Lukashenko accompagnata dall'emergere di un erede gradito al Cremlino. Il tutto però in un'atmosfera consensuale addolcita dalla promessa di un dorato esilio per l'esuberante Aleksander e l'amato figlio Nikolai.
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