Anche i vecchi gangster hanno un cuore da padre. E Paolo Salvaggio, il veterano della malavita milanese giustiziato lunedì in pieno giorno, davanti a tutti, mentre pedalava per Buccinasco, non faceva eccezione. Ed è stato quell'ultimo richiamo ai suoi doveri familiari, paradossalmente, a portarlo alla tomba: una fine quasi gloriosa, nel suo contesto criminale, e certo meno penosa del cancro che se lo stava mangiando, e che lo avrebbe condotto alla tomba in qualche mese.
Il retroscena della morte di Dum Dum - come era soprannominato fin dai tempi del Beccaria, il carcere minorile che svezzò Vallanzasca e tanti altri - circola con insistenza in queste ore nel milieu della delinquenza milanese. Anche in questo mondo la fine di un bandito ormai in disarmo, logorato dalla galera e dai vizi, ha creato stupore e suscitato domande. Qualche risposta sta arrivando. E dice che se Salvaggio si era rimesso in circolazione, anziché aspettare rassegnato la fine imminente, è stato per amore di sua figlia.
Dum Dum aveva un erede ormai grande, anche lui inciampato in qualche guaio giudiziario, ma restando ben lontano dalle vette paterne. Poi era arrivata una bimba: nata dall'unione di Salvaggio con la compagna di un altro nome di peso della mala milanese, Emanuele Tatone. La leggenda narra che Tatone prese malissimo lo scippo, e che i due si sfidarono a duello. Tatone ne uscì con una pallottola nella gamba che lo rese zoppo per il resto dei suoi giorni.
La nuova figlia di Dum Dum ha da sempre qualche problema di salute. Al punto che, si dice, quando il padre si è reso conto che la fine dei suoi giorni si avvicinava a grandi passi, la sua principale preoccupazione è stato garantire alla giovane donna un futuro privo di preoccupazioni materiali. Così si è fatto carico del problema nell'unico modo in cui era capace di farlo: tornando a muoversi sul fronte della droga, il business che per lunghi anni era stato la sua principale fonte di guadagno, e tornando a mettere a frutto le conoscenze di un tempo.
Mettersi in proprio a trafficare cocaina era per Dum Dum impensabile: troppo malconcio, troppo solo, del tutto incapace di reggere lo scontro con la concorrenza. Ma viveva a Buccinasco. Le due ore d'aria quotidiane, quando lasciava gli arresti domiciliari, bastavano per tenere le antenne attivate. E per sapere che da tempo quanto resta delle cosche calabresi era alle prese con la penuria di droga da smerciare: tra arresti e lockdown, i canali classici si erano inariditi.
Salvaggio i canali li aveva ancora: i serbi, la mafia dell'ex Jugoslavia che da tempo si è impadronita di alcune rotte importanti per la «polvere». E si è candidato a fare da tramite per la fornitura di una partita consistente. I calabresi risolvevano un problema di marketing. E Dum Dum incassava una provvigione in grado di sistemare i conti di casa in vista del suo addio.
Ma qualcosa non ha funzionato, evidentemente. I calabresi, secondo la voce che gira in queste ore, non hanno pagato: o almeno non hanno pagato tutto. I serbi hanno battuto cassa. E si sono rivolti all'uomo che aveva fatto da garante: Salvaggio. D'altronde, per quanto i tempi siano cambiati, andare allo scontro direttamente con i calabresi di Buccinasco non era facile neanche per gente tosta come i ragazzi di Belgrado.
Quello che la storia non dice, e che probabilmente nessuno ancora sa, è come abbia reagito Dum Dum quando si è trovato preso in mezzo nello scontro tra clan. Forse si è sentito protetto dall'ombra dei calabresi, forse si era sentito sicuro. Sbagliando. Mentre agonizzava sull'asfalto di via della Costituzione, lunedì mattina, l'ex ragazzo del Beccaria ha avuto forse il tempo per rendersene conto.
E per andarsene con il rimpianto di non avere saputo garantire un futuro sereno a sua figlia.Dopodiché, se questa è la storia, l'ammazzamento di Salvaggio suona come un messaggio pesante ai suoi «clienti». Ma questa è un'altra faccenda, più banale.
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