A trent'anni dalla morte (annunciata) di Paolo Borsellino e della sua scorta, la verità è nascosta in una prigione di carta composta da «errori e omissioni, superficialità e vanità», stando alle parole del Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo. L'elenco di chi ha oltraggiato con la sua superficialità e la sua vanità la morte del magistrato, dilaniato in via D'Amelio sotto casa della mamma il 19 luglio del 1992, è sterminato. Eppure, a distanza di 30 anni, nessuno ha il coraggio di metterli in fila, questi «errori e omissioni» di cui parla Melillo, chiedendo scusa ai familiari.
C'è stato un depistaggio? Sì. Chi ne è stato vittima sono i pm, che hanno abboccato alle balle colossali di Vincenzo Scarantino, imbeccato da qualcuno neanche troppo bene e che però ha ingannato per anni stuoli di magistrati, a partire da Antonino Di Matteo. Che contro l'assoluzione del falso pentito ha fatto più volte appello. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Come diabolico è continuare a instillare il dubbio che dietro le stragi che hanno insanguinato la Sicilia ci sia Silvio Berlusconi, come ancora ieri insisteva il Fatto. Se depistaggio c'è Stato, con la S maiuscola, non poteva esserne Berlusconi il beneficiario né il mandante occulto. Sono altri politici, altri partiti, altre cariche dello Stato a incassare il dividendo di quelle stragi. Lo dice la logica, lo dice la Storia con la stessa S maiuscola, lo dicono alcune sentenze - che hanno fatto a brandelli alcuni traballanti castelli accusatori - eppure ancora oggi a Firenze e in altre Procure su e giù per lo Stivale c'è ancora chi insegue questi fantasmi. Come si fa a prendersela (invano) con tre poliziotti senza indagare su tutta la filiera di comando che potrebbe averli istruiti? Ancora oggi andiamo dietro alle fantasie di pentiti con la memoria ritrovata, che dicono cose inverosimili eppure finiscono sui libri e nei talk show. Ah, la vanità. Se un decimo delle risorse messe in campo soltanto per danneggiare un avversario politico fossero state spese per la ricerca della verità sulla strage oggi piangeremmo un magistrato morto lanciando sulle sue spoglie fiori di verità. E invece l'abbiamo lasciato solo. Anche ieri, come ha preteso la famiglia.
Se Melillo vuole davvero fare chiarezza come dice, provi a cercare la risposta a queste semplici domande: ancora oggi non si sa come fecero a sapere dell'arrivo di Borsellino, inaspettato e imprevedibile. Chi avvisò il commando che piazzò la 126, che disponeva da mesi di telefonini clonati, come scoprì Gioacchino Genchi? Dove fu azionato il telecomando? È vero che, secondo quanto riferisce un dispaccio confidenziale dell'ambasciata di Roma del primo giugno del 1992, Borsellino era stato incaricato di partecipare alle indagini su Falcone? È vero che il 30 maggio Liliana Ferraro a Palermo avrebbe dovuto informare Borsellino di questa decisione, come risulta nell'agenda grigia dalle 18.
30 alle 19.30 con il memo «Morvillo (L. Ferraro)», pubblicata su Il Giornale? La morte è collegata al dossier mafia e appalti, frettolosamente archiviato a Palermo dal pm Roberto Scarpinato alla vigilia dei funerali del giudice?
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