L'unica sbornia è per troppi mix

Secondo il portavoce del Cremlino, Dimitrij Peskov, per l'Europa sarebbe il momento di rivalutare le relazioni con la Russia e di avviare un dialogo: però sarà possibile soltanto quando gli europei "si riprenderanno dalla sbornia di bourbon americano".

L'unica sbornia è per troppi mix

Secondo il portavoce del Cremlino, Dimitrij Peskov, per l'Europa sarebbe il momento di rivalutare le relazioni con la Russia e di avviare un dialogo: però sarà possibile soltanto quando gli europei «si riprenderanno dalla sbornia di bourbon americano». La dichiarazione di Peskov che fa parte di un popolo di fortissimi bevitori rientra in una normale polemica strafalcionica da tempo di guerra, ma apre una prospettiva inedita per una storia dell'ultimo secolo dal punto di vista alcolico.

Alla fine della Prima guerra mondiale, con la partecipazione non determinante degli Stati Uniti e la nascita dell'Unione Sovietica, ogni Paese continuò a bere secondo le proprie tradizioni, anzi spesso rafforzandole in purissimo stile nazionalista: vino fascista in Italia, birra nazista in Germania, democratico whisky scozzese in Gran Bretagna eccetera. Molti, un po' in tutti gli Stati, prendevano grandi sbronze di vodka nella speranza della rivoluzione comunista, pochi si stonavano di bourbon, gli americani erano più che altro le loro «americanate».

Le cose cambiarono dopo la Seconda guerra mondiale, quella sì vinta dagli Stati Uniti. In ogni Paese d'Europa ognuno continuò a bere il proprio alcol preferito, ma aggiungendovi massicce dosi chi di bourbon, chi di vodka. L'Italia è un esempio perfetto. Quando De Gasperi tornò dagli Stati Uniti annunciando che sarebbero arrivati aiuti massicci in dollari (oltre alla meno, da lui, gradita american way of life) gli italiani continuarono con il vino e vi aggiunsero in maggioranza il bourbon di un americanismo di seconda mano eppure entusiasta, mentre una robusta minoranza preferì una micidiale sbronza di vodka sotto forma di «Partito Comunista più forte d'Europa».

Cessata la passione per la vodka dopo il crollo dell'Unione Sovietica, nel frattempo era nata l'Unione Europea, alla quale si rivolge Peskov invitandola a smetterla con il bourbon. Il vero problema dell'Ue, però, non è l'eccesso di quel liquore, né la carenza di vodka. È che ognuno continua a bere il proprio liquore nazionale, vino nei Pesi mediterranei, birra e grappe varie al nord: sempre polemizzando su «il mio è migliore del tuo». Fuori dalla metafora alcolica, il problema dell'Ue non è tanto essere filoamericana, quanto non trovare l'unione: imbarazzante, per un organismo che si chiama, appunto, Unione. La prova incontrovertibile è che soltanto al momento di una guerra ai confini di casa, nell'Ue si comincia a parlare seriamente della necessità di una politica estera comune e persino di un esercito comune. (Era bello credere di poterne fare a meno).

Quando gli europei «penseranno che dovremmo occuparci noi stessi del destino del nostro continente, dell'Europa, persino dell'Eurasia - ha concluso Peskov - allora verrà il momento di rivalutare le nostre relazioni ed entrare in uno stato di dialogo». Ha ragione, se il sobrio dialogo sarà sia con gli Stati Uniti sia con la Russia (e inoltre, cosa bevono in Cina?), senza farsi stordire da una miscela di alcolici.

Purtroppo, però, Peskov ha ragione concludendo: «Questa non è una prospettiva a breve termine». Siamo già adesso disuniti fra filorussi e filoucraini, ci aspettano altre sbronze da mix. «Non mischiare gli alcolici», dicono da sempre i padri premurosi ai figli in libera uscita.

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