Ci sono test e test. Quelli di bassa qualità, inaffidabili. E quelli seri, affidabili, che rivelano quanti anticorpi neutralizzanti circolano in un organismo che ha sconfitto il Covid. E hanno una marcia in più: non ci dicono quanto durerà l'immunità nel tempo, ma ci dicono che alti titoli neutralizzanti servono per curare i malati. «La Lombardia ha deciso di cercare gli anticorpi curativi e non qualunque altro possibile presente nell'organismo di chi ha superato l'infezione. Dal male può nascere il bene», commenta Fausto Baldanti, responsabile dell'Unità di virologia molecolare al San Matteo di Pavia che, dopo due mesi di full immersion nei suoi laboratori, pranza in famiglia e risponde qualche domanda. «Una persona che ha superato la malattia può aver nel suo sangue anticorpi in grado di bloccare il virus spiega l'esperto -. Lavori cinesi hanno detto che si può usare il plasma con anticorpi neutralizzanti con buoni risultati, negli Usa stanno usando questa tecnica di molti ospedali e a Mantova una giovane donna incinta con un Covid severo è guarita e stanno bene lei e il bambino».
Anche in altre situazioni però si sono avuti effetti positivi con farmaci usati sempre in via sperimentale. Ma Baldanti sostiene che la via da seguire per la cura è chiara. E passa attraverso i donatori di plasma. «In Lombardia c'è stato un grosso focolaio e abbiamo molti potenziali donatori spiega -. Sarebbe importante determinare il loro livello di anticorpi neutralizzanti per stoccare del plasma iperimmune da utilizzare eventualmente in una seconda fase quanto potrebbe tornare il virus. Allora sarebbe imperdonabile farci trovarci impreparati».
Dunque, Baldanti punta alla cura più che all'aspetto criticato ieri dall'Oms che ha messo in guardia dai patentini di immunità. «L'Oms ha spiegato che ci sono molti test inattendibili. Ma un test è un test: quello di gravidanza ci dice se una donna è incinta ma non se un bambino sarà maschio o femmina o se sarà un santo o delinquente».
Ma quanto vale un esame che rivela solo se si hanno anticorpi? «Non è sufficiente, infatti, bisogna misurarne la quantità e capire se basta a proteggerci da un'altra eventuale infezione. Noi non sappiamo il livello minimo protettivo né la durata della copertura. Questi eventi vanno analizzati in prospettiva». Le variabili sono moltissime. «Ci sono molte componenti della risposta immunitaria - spiega e quella neutralizzante che blocca il virus nella cellula, non è l'unica. Ma è un virus nuovo, che circola solo da qualche mesi».
Il virologo si associa ai dubbi sui patentini d' immunità sollevati anche dall'immunologo Alberto Mantovani: «Il collega ha perfettamente ragione: il test ci offre un tassello di informazione che va inserito in un quadro più ampio. La risposta immunologica è collocata in un virus nuovo che conosciamo solo in parte. Adesso ci sono strumenti di valutazione che devono essere confrontati con lo sviluppo dell'infezione nel tempo e, non avendo la sfera di cristallo, non possiamo dire con certezza cosa succederà. Ma gli scenari devono essere confermati con dati solidi».
C'è un «però» che lascia spazio alla speranza.
«Il test è mirato all'identificazione degli anticorpi neutralizzanti per l'idea che questo anticorpo può essere legato a un evento protettivo. Test neutralizzanti non ci dicono quanto durerà l'immunità nel tempo, ma ci dicono che alti titoli neutralizzanti ci servono per curare i malati».
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