Toh, guarda chi si rivede anzi si risente: la «questione morale». Sparita dalle agende polverose di prima Repubblica, seppellita dalla Seconda, ecco che ricompare viva, vegeta e più rigorosa che mai, brandita da mani grilline come corpo contundente.
Non fanno in tempo agenzie e siti on line battere notizia di un coinvolgimento del sottosegretario ai Trasporti, Armando Siri, in un'indagine Dda tra Palermo, Trapani e Roma, che i vertici 5S se non stappano lo spumantino poco ci manca. Così, mentre il consigliere più amato da Salvini protesta la propria innocenza («Non so se ridere o piangere, cado dalle nuvole, ci sarà di sicuro un errore», le sue prime reazioni), in via Bellerio scatta il panico e il vicepremier Luigi Di Maio getta la prima molotov. «Ho appreso i fatti venendo qui... Se fossero questi, Siri dovrebbe dimettersi», dice prima ancora che i leghisti si riprendano dallo choc. Gancio sinistro, destro e quindi l'uppercut: «Ne parlerò con la Lega... qui c'è una questione morale. Qui c'è un sottosegretario che è coinvolto in un'indagine così grave e così importante che riguarda addirittura il prestanome di Matteo Messina Denaro». La parola «mafia» verrà pronunciata da Di Maio solo pochi minuti più tardi, perché è chiaro che su un'accusa del genere ci si può perdere un governo, ma anche vincere un'elezione Europea. L'odore del sangue attira nell'arena il redivivo Alessandro Di Battista: «Sosterrò ancor di più questo governo se Siri se ne andrà il prima possibile». Il titolare dei Trasporti, Danilo Toninelli, dopo rapida consultazione con Di Maio e Conte, ritira d'emblée le deleghe ministeriali a Siri «in attesa di chiarezza». È una Pearl Harbour in piena regola tra gli alleati che, mettendo in gioco i rapporti di forza, non temono di minare la tenuta del governo. Anche perché girano voci su divisioni all'interno del vertice leghista, anche se da via Bellerio sostengono essere anch'esse maldicenza grillina. Si gioca sul filo dei nervi. L'ordine di scuderia di Salvini diventa non dare spazio alle tesi 5S, rispondere colpo su colpo, difendere a spada tratta il fedelissimo senatore, non seguire la suadente ma perfida àncora di salvezza lanciata da Di Maio («anche a Salvini conviene tutelare la reputazione della Lega, non so se sia d'accordo con questa mia posizione intransigente, ma il mio dovere è tutelare il governo. Mi auguro che Siri dimostri che è innocente, noi saremo pronti a riaccoglierlo»). Da qui la decisione leghista di esprimere una linea ufficiale: «Piena fiducia in Siri e nella sua correttezza. L'auspicio è che le indagini siano veloci per non lasciare nessuna ombra». Da Reggio Calabria, il capo leghista aggiunge di conoscere Siri «come persona pulita, specchiata, integra, onesta: mi auguro che le indagini siano veloci per accertare se altri abbiano sbagliato». Giulia Bongiorno si dice «stupita» per il «giustizialismo a intermittenza» dei colleghi 5S, mentre Siri, dichiarandosi «allibito» conferma che non si dimetterà e chiede di essere sentito al più presto dai Pm. Ma dalle basi grilline continuano ad alzarsi in volo veivoli minacciosi: «per noi il caso Siri è gravissimo», dicono, mentre fonti di governo ricordano come proprio Siri abbia proposto la norma al centro della vicenda giudiziaria, e come qualcuno di M5s l'abbia bloccata. Il ritiro delle deleghe «è atto dovuto», insistono. Salvini, irritatissimo, promette «importanti sviluppi».
Poi si limita a dire: «Io non l'avrei mai fatto, si tratta solo di voci...». Le opposizione chiedono al premier di riferire in aula, Conte annuncia di voler avviare «un chiarimento con Siri». I fronti si guardano in cagnesco, a sera inoltrata non c'è tregua che tenga. La guerra continua.
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