Stasera sarà a San Pietroburgo a tifare per la Francia del calcio (in agenda non è previsto nessun incontro con Vladimir Putin), ma i suoi 90 minuti Emmanuel Macron li ha «giocati» ieri parlando davanti a 900 parlamentari riuniti in Congresso al castello di Versailles. Prima di lui l'avevano fatto solo Napoleone, Sarkozy e Hollande. Rispetto agli ultimi due inquilini dell'Eliseo ha intrattenuto la platea - in cui spiccava l'assenza dell'estrema sinistra della France Insoumise e di diversi deputati della destra - per un tempo doppio: un discorso fiume in cui molti sono stati i temi toccati.
Macron, che come è noto sta combattendo con un brusco calo di popolarità nei sondaggi, ha difeso il suo primo anno di governo negando che la politica economica sia stata «al servizio dei più ricchi». Ha rilanciato sottolineando l'importanza di una «fiscalità competitiva per far ritornare gli investitori che hanno lasciato la Francia», ma soprattutto ha annunciato il varo, a settembre, di una nuova strategia di lotta alla povertà: le risorse saranno recuperate con un taglio della spesa pubblica. Attimi di tensione ci sono stati quando il premier ha assicurato che la riforma delle pensioni «non cambierà nulla per i pensionati di oggi», frase che è stata accolta dai fischi e dalle urla: «E quelli di domani?».
Inevitabile poi che in un'ora e mezza di discorso venisse affrontato anche il tema caldo dell'immigrazione. Dopo aver parlato della convivenza con i musulmani («La Repubblica riconosce a ciascuno la libertà di credere o non credere, ma c'è una visione radicale dell'Islam che mette in discussione le regole. Vogliamo riportare nel grembo dello Stato intere fasce della società che se ne sono allontanate»), Macron ha anche lanciato un appello alla solidarietà europea: «Lo straniero, è questa la paura diffusa. La questione non può essere risolta sull'onda dell'emotività né con una chiusura nazionalista. Nella nostra Costituzione ci sono regole che proteggono i richiedenti asilo e a tempo stesso delle regole nei confronti di quanti vengono da noi per motivi economici.
Francia ed Europa, i cui destini sono legati, devono proporre un nuovo partenariato con l'Africa. Il vero confine che attraversa l'Europa, oggi, è quello che separa i progressisti dai nazionalisti: ne avremo almeno per un decennio, e sarà lungo e difficile».
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