Luciano Gulli
Posto che nessuno vuole morire, di cancro poi, prima del (suo) tempo. E posto che ciascuno, soprattutto se maggiorenne e vaccinato, ha il diritto di curarsi come meglio crede; ovvero come meglio crede che la sua salute ne trarrà giovamento, ecco una nuova drammatica notizia destinata a riaccendere i riflettori sulle «cure alternative». E a riaprire la polemica tra i sostenitori della dottrina tradizionale, che nel frattempo ha fatto notevoli passi avanti, e quella che punta su metodologie di nuovo (talvolta forse troppo nuovo) conio, per così dire.
È di qualche giorno fa la notizia della morte di Eleonora Bottaro, la diciottenne padovana uccisa dalla leucemia dopo aver rifiutato i protocolli tradizionali (la chemio, per intenderci) per seguire il verbo della Nuova Medicina ideata dal medico e teologo tedesco Ryke Geerd Hamer. Ieri, secondo, drammatico caso. Non una ragazza, stavolta, magari influenzata dall'autorevole parere di genitori amati e in cui si ha piena, incondizionata fiducia. A morire, stavolta, è una donna di 34 anni, donna colta e intelligente, con un'azienda da gestire, sposata e madre di due figli di 8 e 10 anni.
Operata quattro anni fa di tumore al seno all'ospedale di Santarcangelo, in provincia di Rimini, la donna aveva rifiutato la chemioterapia per curarsi con impacchi di ricotta e decotti di ortica. Una deficiente? Un'allocca irretita anch'essa dallo stesso «mago» tedesco? No, l'abbiamo detto qui sopra. Una donna colta, equilibrata, una che sapeva quel che stava facendo. Aveva scelto, semplicemente. I tentativi dei suoi familiari e del chirurgo che l'ha operata non sono serviti a nulla. E a nulla, probabilmente, approderanno ora i tentativi di avere giustizia dai suoi familiari, che pare siano decisi a provare che il dottor Hamer, radiato a suo tempo dall'albo dei medici tedeschi è un falsario, un millantatore, un truffatore. Il vecchio caso del professor Di Bella, che alla fine degli anni Novanta tenne banco sui media nazionali, dividendo l'opinione pubblica tra favorevoli e contrari, dovrebbe valere come esempio. Anche quello, qualcuno ricorderà, era un metodo di cura contro i tumori alternativo ai protocolli ufficiali, osteggiato come inefficace (nel migliore dei casi, ininfluente) nel trattamento di forme tumorali aggressive dalla farmacopea ufficiale.
La donna operata in Romagna aveva un tumore per il quale la possibilità di guarigione era «del 93-95% a cinque anni dall'intervento, a patto che si sottoponesse ai consueti cicli di chemioterapia», sostiene Domenico Samorani, responsabile della Chirurgia del seno all'ospedale di Santarcangelo. E tuttavia la donna, di cui non è stato fatto il nome, rifiutò fin dall'inizio, convinta dell'inefficacia del metodo tradizionale.
«Quando è tornata da noi, tre mesi fa, era ormai troppo tardi - spiega il dottor Samorani - Aveva metastasi in tutto il corpo. Eppure si sarebbe ancora potuto fare un tentativo in extremis». Fermare le metastasi, bombardarle senza tregua, accettare la sfida della malattia affrontandola con cure che vista l'inefficacia della ricotta e dell'ortica - forse poteva valer la pena di provare. Ma lei, niente.
E come lei, tante altre, raccontano i medici, convinte da santoni più o meno improvvisati (o anche portatori sani, con curricula professionali inappuntabili, delle migliori intenzioni) che radio e chemio non servano. Risultato: sono morte tutte. O meglio: nessuno, a memoria di cronista, che abbia potuto dire: avevo un cancro, mi sono curato seguendo i precetti di una mae de santo brasiliana, ed eccomi qui, come nuovo. Nessuno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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