Mafia, camorra e 'ndrangheta si stanno mangiando Milano, come un Hydra a tre teste. Se non è un accordo, come sostiene la Procura (ma non il gip) e come dichiara il pentito Emanuele De Castro, arrestato nel 2019 in Krimisa, è certamente il frutto della pax mafiosa anticipata all'Antimafia dal procuratore capo di Milano Marcello Viola, la cui intuizione sugli «accordi stabili e duraturi» trova conferme investigative nel poderoso Hydra di oltre 1.500 pagine, curato dalla Dda di Alessandra Dolci e dal pm Alessandra Cerreti che avrebbero scoperto «un'unica struttura confederativa», orizzontale e senza capi, di fatto smantellata dai carabinieri del Comando provinciale di Milano.
In Tribunale non è più tempo dei gip copia-incolla di qualche anno fa. Ma anziché guardare il dito («non dimostrato il vincolo associativo tra tutti», manca «il metodo mafioso», scrive il gip Tommaso Perna) e in attesa che sullo scontro interno al Tribunale si pronunci il Riesame, bisognerebbe guardare alla Luna: l'idea che la mafia trapanese di Matteo Messina Denaro, quella di Gela e quella di Catania facesse affari con la potente 'ndrangheta calabrese di Lonate Pozzolo (Varese) individuata da Crimine-Infinito del 2010 e con la camorra romano-napoletana dei Senese, che la Cerreti è riuscita a ricostruire, è una novità assoluta sotto il profilo investigativo che merita di essere comunque percorsa, al netto di alcune sbavature sui inesistenti rapporti con il mondo politico di centrodestra che invece finiscono sull'ordinanza massacrata dal Gip. Che prima fa uscire l'associazione mafiosa dalla porta (più di 140 custodie cautelari sono state respinte al mittente) perché non ne riconosce i presupposti previsti dalla legislazione antimafia consolidata, specie quando si parla di riciclaggio, tratta dei crediti fiscali figli dello scellerato Superbonus 110% e fatture false per operazioni inesistenti, poi è «costretto» a farla rientrare dalla finestra quando spuntano estorsioni, traffico di droga e della possibile lupara bianca che ha inghiottito Gaetano Cantarella, detto Tanu ù curtu o quando i mediatori finiscono al bar San Vito di Campobello di Mazzara nel Trapanese, a pochi metri dal covo di Messina Denaro, per mettere d'accordo due sodali. Alla fine gli arresti saranno «solo» 11 su 153 indagati, i beni sequestrati grazie alle indagini dei Nuclei Investigativi di Milano e di Varese valgono 225 milioni di euro. Lo spessore criminale di alcuni dei protagonisti individuati dalle indagini della Cerreti non sembra pregevole: nelle «cointeressenze multistrutturate» tra «gruppi tra loro disomogenei» ci sarebbero i mafiosi di secondo e terzo piano collegati alle famiglie Fidanzati e Rinzivillo, un uomo considerato vicinissimo a Matteo Messina Denaro e al mandamento di Castelvetrano come Paolo Aurelio Errante Parrino, esponenti della cosca Iamonte della Jonica calabrese e i picciotti della camorra romana dei Moccia di Afragola. Questo «sistema mafioso lombardo» si muove con capitali e liquidità in comune attraverso oltre 54 ditte eterogestite operanti in diversi settori (dall'edilizia alle forniture Covid, dall'e-commerce ai parcheggi nell'aeroporto), considerate centrali di riciclaggio per ripulire la mole di contanti derivanti dal traffico di armi e stupefacenti e dalle estorsioni, aggredire i fondi del Pnrr e smerciare a basso costo crediti d'imposta tramite società con sede a Londra e in Delaware. Quando due soggetti controllano lo stesso territorio, diceva Giovanni Falcone, o si fanno la guerra o si mettono d'accordo. «Qua è Milano! Non ci sta Sicilia, non ci sta Roma, non ci sta Napoli, le cose giuste qua si fanno», dice un indagato. Secondo la Cerreti è l'economia il collante delle tre mafie, è lo «spazio economico» il territorio da presidiare. Certo, manca ancora quella «borghesia mafiosa» che dei boss 2.0 è regista ancora troppo occulto, mentre puzzano di opportunismo politico i contatti (anche solo millantati) dell'indagato Gioacchino Amico con politici, messi nero su bianco nell'ordinanza.
C'è la ministra Daniela Santanchè, la sottosegretaria all'Istruzione Paola Frassinetti, la senatrice Carmela Bucalo (entrambe di Fratelli d'Italia) e gli ex azzurri Mario Mantovani e Paolo Romani. Niente di penalmente rilevante da segnalare. Uno sputtanamento inutile ma necessario, pur di oscurare lo scontro tra Dda e Gip.
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