Si spengono le luci, cala il sipario su Luigi Di Maio. E tra i palazzi romani c'è qualcuno che tira un sospiro di sollievo allarga le braccia ed esclama: «Era ora!». Il de profundis del ministro è servito. L'ultimo atto al Consiglio degli Affari Esteri europeo in Lussemburgo. Mentre in Italia è scomparso dai radar (tanto da allarmare perfino Federica Sciarelli e la redazione di Chi l'ha visto?) in Europa è accolto da applausi. A spellarsi le mani l'Alto rappresentante dell'Unione Josep Borrell, che ha definito Di Maio «un grande ministro degli Esteri». Peccato scoprirlo solo ora, alla fine del suo mandato. A ruota, tutti i ministri omonimi, hanno congedato Giggino da Pomigliano con un lungo applauso. Lo stesso che si riserva ai grandi funerali. D'altronde per lui lo è. Il funerale politico se l'è fatto da solo. Lo 0,6% ottenuto alle elezioni dal suo Impegno Civico è l'iscrizione sulla lapide della sua vita politica. Inciso sul marmo, a perenne memoria: zerovirgolasei. Beffato dalle urne, trombato come tutti i suoi compagni di «partito» scippati al Movimento 5 stelle. Tutti tranne uno. Solo Bruno Tabacci, politico navigato, è riuscito ad ottenere il seggio ed entrare in Parlamento fregandolo. Ora anche lui abbandonerà la creatura di Luigi per approdare nel Pd. L'ape raffigurata nel simbolo invece di prendere il volo è morta. Si è schiantata contro la realtà. Le comode stanze dal Palazzo sono solo un lontano ricordo. Per lui non ci sarà più nessuna occasione per sfoggiare i vestiti sartoriali. «Non lo sentiamo più dal giorno delle elezioni» - confessano gli ex parlamentari dimaiani - «È sparito». Scomparso non solo dalle chat ma anche dai social. Troppo grande la vergogna, anche per uno come lui che non si è mai fatto troppi problemi a cambiare idea e casacca. Da «uno vale uno» a «io valgo doppio»; da «mai con il partito di Bibbiano» ad un accordo con quel partito, il Pd simbolo del male (per Di Maio) tranne che utilizzarlo come traghetto per il transatlantico. Gli è andata male. Il saluto dei colleghi europei è il giusto tributo, un ricordo che lo accompagnerà nel tempo. Una meteora caduta nell'ultimo appuntamento internazionale del suo mandato. Al prossimo consiglio Esteri, previsto a Bruxelles il 14 novembre, infatti, parteciperà il suo successore alla Farnesina nel governo che dovrebbe prendere vita nei prossimi giorni. Forse Antonio Tajani, politico di spessore. Già presidente del Parlamento europeo. Nessuna grande perdita, né per l'Europa né per l'Italia. Lo statista in salsa campana pare essersi presentato nelle colorate stanze del Consiglio Europeo con dei nuovi biglietti da visita freschi di stampa: «Luigi Di Maio - lobbista». Questa potrebbe essere la sua nuova professione. Dopo qualche anno al ministero, anche lui si è fatto i suoi contatti. Abile trasformista saprà fare tesoro della sua agenda ricca di numeri, soprattutto quelli con il prefisso cinese. I soldi non mancano, 100mila euro per 9 anni in Parlamento. A tanto ammonta la buonuscita. Anche il numero dicellulare è nuovo.
C'è chi dice che non risponda più al telefono nemmeno ad alcuni dei suoi più stretti collaboratori, al suo fianco da quando, appena trentenne, il politico campano aveva fatto il suo ingresso nell'agone politico. In quel Parlamento che avrebbe voluto aprire come una scatoletta. La stessa scatoletta ora lo ha inghiottito. Per sempre.
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