Stavolta il ministro degli Esteri Luigi Di Maio,con il sottosegretario Manlio Di Stefano, è al posto giusto nel momento giusto. Dopo il cessate il fuoco e l'inattesa rimozione del potente ministro dell'Interno Fathi Bashaga, vera quinta colonna di Ankara in Libia, Tripoli è il tavolo su cui giocare per restituire all'Italia quel ruolo di potenza di riferimento scippatoci dalla Turchia di Recep Tayyp Erdogan grazie alla passività dell'esecutivo giallorosso. Certo i due non sono delle cime. Di Maio un tempo cercava le coste russe nel Mediterraneo. E solo un mese fa Di Stefano era ancora convinto che Beirut fosse in Libia. Ma dietro ogni loro mossa ci sono due veterani della «quarta sponda» come il capo dell'Aise Giovanni Caravelli e l'ambasciatore Giovanni Maria Buccino. Di Maio e Di Stefano - sbarcati a Tripoli ieri mattina - possono dunque portare a casa qualcosa sia sul fronte geopolitico, sia su quello commerciale.
Il primo è competenza di Di Maio. A lui spetta la valutazione del «mistero Bashaga», un ministro dell'Interno con cui intrattenevamo intensi rapporti sul fronte migranti. Bashaga è stato messo alla porta venerdì scorso dal premier Fayez al Serraj che l'accusa di aver permesso alle forze di sicurezza di aprire il fuoco su una folla di dimostranti. Che sia un pretesto è chiaro. Il grande mistero è però come un premier privo di controllo sulle milizie (l'ex ministro s'occupava anche della Difesa) stia avendo la meglio su un Bashaga che oltre ad aver dietro i Fratelli musulmani e le milizie di Misurata conta su una Turchia a cui ha garantito due obbiettivi geopolitici fondamentali. Il primo è il trattato marittimo grazie al quale Ankara rivendica il controllo sul Mediterraneo Orientale. L'altro è quello che le permetterà di aprire una base navale nel porto di Misurata.
Proprio questo ruolo di grande facilitatore dei giochi turchi ha messo Bashaga nel mirino dell'America. L'ascesa di questo ex-pilota dell'aviazione di Gheddafi inizia nel 2011 quando la Nato lo sceglie come referente a Misurata. Ma in seguito Bashaga saprà stringere ottimi rapporti anche con Stephanie Williams, l'ex incaricato d'affari Usa a Tripoli oggi inviato speciale dell'Onu per la Libia. Quel rapporto si incrina quando i russi dispiegano una dozzina di Mig nella base di Al Jufra. Bashaga non ne ha colpa visto che la base appartiene al nemico generale Khalifa Haftar, ma ne subisce le conseguenze. Temendo un accordo Erdogan-Putin capace di regalare a quest'ultimo una base aerea sulle coste del Mediterraneo gli americani lavorano al cessate il fuoco poi annunciato il 21 agosto. Con quella mossa Washington ha provato a mettere fuori gioco definitivamente i protagonisti più bellicosi del conflitto. In Cirenaica Haftar, già liquidato da Mosca. A Tripoli Bashaga terminale delle mosse turche. E così il 25 agosto, tre giorni prima dell'addio a Bashaga, atterrano a Tripoli i contractor del Jones Group International, un'agenzia guidata da James Jones un ex generale dei marines già Comandante supremo in Europa. A vegliare sulla sicurezza di Al Serraj c'è dunque oggi un'America che ha sempre puntato sull'Italia come potenza di riferimento in Libia.
Un posto che potremmo riagguantare seguendo le indicazioni di Washington e riavviando quell'azione politica sulla «quarta sponda» dimenticata da almeno due anni. Gli incentivi sono già lì.
Non a caso Di Maio s'è portato dietro un Di Stefano incaricato di sbrigare le intese per riportare le nostre imprese in Libia compensando - anche su quel fronte - l'esuberante presenza turca e riappropriandoci del gas e del petrolio su cui aveva già messo gli occhi Ankara.
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