La manina politica sulle "regioni rosse"

Valentino Valentini ne ha viste di tutti i colori insieme a lui. Eppure con tutte le contraddizioni, i mille difetti, i rischi dell'attuale momento negli Usa, scuote la testa quando si paragona la nostra condizione a quella d'oltre-oceano.

La manina politica sulle "regioni rosse"

Valentino Valentini è stato l'ombra per venti anni di Silvio Berlusconi sullo scenario internazionale e ne ha viste di tutti i colori insieme a lui. Eppure con tutte le contraddizioni, i mille difetti, i rischi dell'attuale momento negli Usa, scuote la testa quando si paragona la nostra condizione a quella d'oltre-oceano. «Là spiega con impeto nel mezzo del cortile di Montecitorio è una democrazia vera. In una situazione drammatica ci si scontra, si rischia un gravissimo conflitto istituzionale per decidere la catena di comando di fronte al pericolo. Qui il Covid-19, invece, si trasforma in un altro alibi per perpetuare la stagnazione». Poche parole per descrivere la cruda realtà. Eh sì, perché si può dire ciò che si vuole ma mettiamo pure il caso tutto da dimostrare che di fronte all'epidemia non si possono fare le elezioni, non si può fare un governo di unità nazionale, non si riesce neppure a mettere in piedi uno straccio di condivisione tra maggioranza e opposizione, ma almeno quattro ministri che sono sulla bocca di tutti perché sbagliano e continuano sbagliare, si potranno cambiare o no? Neppure per idea. E allora diamo pure per buono che nel governo non si può modificare una virgola perché altrimenti casca tutto, ma almeno il commissario per l'emergenza, quel Domenico Arcuri, mr. Ritardo, che per opinione generale ci ha fatto trovare impreparati davanti alla seconda ondata, si può sostituire?
No, con il Covid non si può: la condivisione con l'opposizione, oppure la richiesta di un supplemento di fiducia ai cittadini arrabbiati, si deve arrabbattare sugli errori. E il «non sense» che regna lo ritrovi nei ragionamenti dell'ex premier, Mario Monti, che pure passa per essere un uomo saggio: Monti si richiama ai governi di unità nazionale del dopoguerra, a quelli della solidarietà nazionale contro il terrorismo, al suo stesso governo del 2011 che fronteggiò la crisi economica, per proporre una non ben definita unità nazionale, dimenticando che le esperienze citate appunto avevano la parola governo indissolubilmente legata all'espressione «unità nazionale». Così, essendo il primo ad essere consapevole della contraddizione insita nella sua proposta e visto che non è fesso, Monti si è inventato l'unità nazionale «light», che somiglia tanto meglio buttarla a ridere alla versione meno grassa del formaggio Philadelphia.
Così, a ben guardare uno comincia a pensare davvero che, paradossalmente, la politica italiana, stia peggio di quella americana. Basta guardare in Parlamento: Sgarbi va di matto per la foga con cui critica l'ennesimo dpcm e sviene; il leghista Igor Iezzi, compagno di scuola di Salvini, si fa cacciare dall'aula perché maltratta il nome di Conte che non dà i dati su cui ha diviso le regioni in gialle, arancioni e rosse; e il capo dei deputati del Pd, Graziano Delrio, per l'ennesima volta rimbrotta il governo che non condivide le informazioni su cui ha costruito la strategia di emergenza. Per non parlare del festival delle locuzioni con cui si è tentato di dare un senso alla collaborazione tra maggioranza e opposizione: conferenza dei capogruppo permanente, bicamerale e via dicendo. Una cascata di parole ma resta la confusione sui poteri e i compiti dell'ipotetico organismo, tanto che l'altro giorno il presidente del Senato Casellati ha dato un consiglio a Mattarella: «Prima di individuare lo strumento, cerchiamo di definire cosa può decidere».
Anche perché ormai non si tratta più di un problema di formule, coalizioni, organismi, né tantomeno di vertici di maggioranza che finiscono per discutere del sesso degli angeli: quando si registrano come ieri quasi 35mila contagi e 445 morti in un giorno, il problema riguarda gli uomini che affrontano l'emergenza. È una questione che in «confessionale» ammettono anche nella maggioranza di governo. Se poni il problema al vicesegretario del pd, Andrea Orlando, ti risponde, infatti, con un gesto di assenso accompagnato dal ghigno di chi sa di aver posto il tema per tempo. Si sfoga la piddina Rosa Maria Di Giorgi: «Qui non si tratta di sinistra, centro, destra, c'è un problema di competenze. Siamo arrivati al punto che dobbiamo rincorrere i sottosegretari che si dimenticano le parole chiave nei provvedimenti». «Per paura del Covid si lagna il siciliano Fausto Raciti in Parlamento non si decide niente». «Dobbiamo consolarci ironizza Matteo Orfini con il click day per biciclette e monopattini». Mentre il forzista Paolo Bruno fotografa l'inadeguatezza che mostra ogni giorno il governo con un proverbio napoletano inviato a tutti i colleghi: «Quann o mar è calmo ogni strunz è marenaro». Con al seguito i nomi dei ministri Azzolina, De Micheli, Catalfo e Patuanelli.
Già, è l'inadeguatezza di alcuni protagonisti che fa paura. Ad esempio, il criterio con cui alcune regioni sono state inserite tra le rosse e altre no resta un mistero. Perché, ad esempio, la Lombardia è rossa e la Campania no? Eppure ieri a calcolare il rapporto tra tamponi eseguiti e numero dei contagiati, si scopre che in proporzione ci sono più positivi nella seconda (1 ogni 5 tamponi) che non nella prima (1 ogni 5,6). «Sono degli scappati di casa si incavola il forzista calabrese Roberto Occhiuto la mia regione è rossa e la Campania no. Roba da non credere. Tra le rosse ci sono solo regioni governate dal centrodestra: come si fa a non pensare che il criterio sia politico! Poi con questa storia dei 21 criteri il governo si è ritagliato un ampio margine discrezionale».
Appunto, Conte si ammanta della retorica della «condivisione» con l'opposizione, ma poi fa ciò che vuole. «Anche la storia di grillini e piddini di presentare la riforma della Rai svela il renziano Michele Ansaldi serve solo come motivo per prorogare un Cda Rai che fa comodo ad entrambi».
Per cui il Covid-19 serve oltre a prorogare i vertici dei servizi segreti anche quelli della Rai. Diciamoci la verità, Donald Trump farebbe bene a frequentare un corso sul tema «come occupare ruoli di Potere in un epidemia» tenuto dal prof. Giuseppi Conte.

Solo che se si tira troppo la corda e nel contempo si collezionano troppi errori, alla fine la corda si rompe. «Non reggono diceva l'altro giorno il leghista Giancarlo Giorgetti, a un deputato azzurro - : alla fine la pressione dei Poteri forti spingerà Mattarella a scendere in campo».

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