Marcell, il cowboy del Garda nella storia in 45 passi e mezzo

Il Texas, il rapporto difficile con il padre, la famiglia e Camossi, il tecnico che l'ha spostato dal lungo alla velocità

Marcell, il cowboy del Garda nella storia in 45 passi e mezzo

Oltre la siepe del silenzio l'urlo liberatorio di Lamont Marcell Jacobs junior, figlio di un marine del Texas in congedo e di una leonessa che dopo la separazione dal marito lo ha portato a due anni a Desenzano del Garda lasciandolo spesso ai nonni che lo aiutavano a sorridere e a rialzarsi quando cadeva nel lungo cortile in discesa e negli attimi fra sogno e realtà, medaglia d'oro e record europeo sui 100 metri battuto due volte, lui ha ricordato proprio questo: il sogno del bambino che voleva vincere l'olimpiade e il nonno Osvaldo, scomparso questo inverno, che lo incitava e lo aiutava a crederci.

Un tipo speciale, se fosse rimasto ad El Paso magari, avrebbe fatto il marine come suo padre, cui ha ricominciato a parlare dopo tanto tempo, anche se le conversazioni fra l'Italia e la Florida, dove oggi vive Jacobs senior, sono sempre difficili, per la lingua, soprattutto più che per il traumatico distacco, perché il texano non è proprio inglese come lo studi qui.

Per fortuna il destino ha scritto per lui pagine diverse con una vita dove nessuno gli ha regalato niente: padre a 19 anni di Jeremy, con una compagna poi lasciata presto, altri due figli con la sua vera spalla di oggi, un altro Jeremy e Megan, sempre alla ricerca del porto di quiete: da Desenzano a Gorizia dove viveva il suo allenatore, un triplista fantasioso e di talento come Paolo Camossi, geniale in pedana, una generazione con cui passavi volentieri la notte anche al bar, uno magari non ossessionate sugli uomini con i muscoli alla seta come piaceva al professor Vittori facendosi inseguire non soltanto da Mennea, il fratello Pietro che con sorella Sara Simeoni illuminava gli aurunci formiani, ma abile nello scoprire nel saltatore Jacobs, che si faceva male troppo spesso quando prometteva di essere un lunghista di qualità, l'uomo che da ieri è storia vera dello sport.

Lui, per la verità è già da un paio d'anni il velocista che sfonda i muri, anche se anticipato nell'andare sotto i 10 secondi dal più elegante Filippo Tortu che certo, fino a ieri, era più conosciuto e vezzeggiato. Ai tempi del suo titolo europeo indoor in Polonia, del primato italiano a Savona quando si è confidato con Giorgio Cimbrico, mente eletta della chiesa senza confini dell'atletica, fu divertente il racconto che gli fece della vita, di El Paso, del padre, di Camossi, credendo ciecamente al nostro faro genovese quando scrive che Marcello conosce tutto di El Paso, delle congiunzioni astrali tipo quelle sue a Tokio, quando nel 1996 Obadele Thompson, corridore delle Barbados, terzo marito di Marion Jones la divina, corse i 100 in 969 con un tornado alle spalle.

Dicevamo di Camossi e delle sue lezioni di vita, ma anche delle lacrime per i primati di questo campione che insieme a lui ha accettato di cambiare tutto, orizzonti, vita, spostandosi due anni fa a Roma, mettendo insieme una vera squadra al servizio del talento. Fisioterapia, lavoro, studio, ma anche giornate per liberare la mente e l'anima con Nicoletta Romanazzi che è diventata la sua allenatrice della mente, insomma la psicologa.

I campioni vivono in mezzo a baraonde strane. Lui, ad esempio ha camminato nell'ombra di Tortu, primo italiano sotto i 10 secondi, soffrendolo come ha confessato a san Giorgio, ma rimanendo sempre in rapporti cordiali, cosa non facile fra gente che vive sui nervi direbbero Berruti e Ottolina, i grandi velocisti di ieri, da Pavoni a Tilli, da Carletto Monti al Toetti, da Preatoni a Giani. Speriamo siano cordiali nel passarsi il testimone in staffetta, speriamo che la festa sia per tutti, in modo che anche il quartetto possa ragionare come ha fatto Jacobs cancellando dalla scacchiera un avversario alla volta: vedeva volare Bromell e gli ha detto arrivederci, partendo dagli stessi tuoni nelle gare indoor, quando si è impantanato nella prima semifinale. Studiava le volate scomposte di Simbine scoprendo che poteva fare meglio di lui e così è stato lasciandolo giù dal podio.

Insomma, quei 45 passi e mezzo che lo hanno lanciato nella storia non sono arrivati per caso per questo poliziotto di 1 metro e 87, 79 chili con muscoli ben distribuiti, uno che nella seconda vita atletica, nel 2017

saltava oltre gli 8 metri in lungo, ci ha lavorato per cambiare tutto, senza mai sentirsi solo perché nel lavoro era famiglia, ha sudato e aspettato. Ora è il principe di questa zolla chiamata giardino dei più veloci nel mondo.

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