Siamo di fronte a un dilemma etico. Fonti del Consiglio di Stato francese spiegano così la decisione che sarà presa sul caso di Marwa. La bimba algerina di 16 mesi che dal 25 settembre è ricoverata a Marsiglia a causa di un virus che le ha causato gravi danni neurologici. Senza la macchina per la respirazione artificiale non può sopravvivere. Ma i medici del Timone Hospital, dopo i primi tentativi di mantenerla in vita, hanno gridato all'accanimento terapeutico e stavano per staccarle la spina. Succedeva lo scorso 4 novembre, proprio mentre i genitori pregavano l'equipe ospedaliera di insistere. Poi il miracolo: la piccola Marwa si è risvegliata dal coma. All'ospedale La Timone consideravano i trattamenti superflui e volevano porre fine alle terapie e dunque alla sua vita. I genitori si sono opposti riuscendo ad estendere le cure grazie a una battaglia vinta su Facebook. Una vittoria che porta la firma di oltre 240 mila persone a supportare la petizione con cui, l'8 febbraio, hanno ottenuto dal tribunale amministrativo la prima «prosecuzione delle cure» per altri due mesi.
I due mesi sono «scaduti». E a decidere su un nuovo caso di fine vita sono i giudici del Consiglio di Stato, a cui spetta l'ultima parola sulla difficile decisione di staccare spina. Coscienti del primo miracolo: dopo dieci giorni dal decreto di prolungamento Marwa si è svegliata. I medici spiegavano al papà e alla mamma, Mohamed e Anissa Bouchenafa, che la bimba, pur «cosciente», non avrebbe comunque mai più potuto camminare, mangiare o respirare autonomamente. I genitori insistevano che fosse comunque viva, tanto da risvegliarsi dal coma contro ogni ipotesi medica. La petizione per tenere accese le macchine è andata avanti, ha superato i confini della rete con striscioni negli stadi di Marsiglia e in altre località della Francia. Il padre ha condiviso il video della bimba con gli occhi aperti che reagiva alla voce del genitore: «Il trattamento continua, vediamo i progressi ogni giorno con grande speranza. Quando parlo con lei, ascolta la mia voce e a volte sorride». Certo deve essere alimentata con una sonda ed è impossibile stabilire se stia soffrendo o no. Ma l'opinione pubblica francese si interroga se, contro il parere dei genitori, si debba e si possa interrompere il trattamento di una bambina vittima di un virus fulminante il cui cuore batte ancora su un letto d'ospedale. Ha solo 16 mesi e se privata della respirazione artificiale non può sopravvivere, spiega la mamma a Le Parisien. Ma «quando le tendo l'indice, lei lo stringe e quando sto per toglierlo stringe ancora più forte». I danni neurologici sono «gravi e definitivi». Ma è viva. In lotta contro la morte e contro la volontà dei medici di interrompere le cure.
Sta al Consiglio di Stato decidere, il grado di giudizio più alto della giurisdizione amministrativa francese. Porte chiuse fino alla prossima settimana, quando è prevista la sentenza che farà giurisprudenza, ricorda Jean Leonetti, deputato padre dell'attuale legge sul fine vita.
Il tribunale ha già ricordato che «la circostanza in cui una persona si trovi in un stato irreversibile di perdita di autonomia, e necessità di alimentazione e ventilazione artificiali, non è sufficiente a dire che i trattamenti siano ingiustificati». Ora i giudici devono decidere se si tratta di «irragionevole accanimento», come sostengono i medici di Marsiglia. O di legittima vita di una bimba.
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