Seccato. Infastidito perché i partiti continuano a usare «strumentalmente» il suo nome. Irritato perché cercano metterlo dentro manovre strane, a infilarlo nelle liste segrete del toto Colle nonostante lui si sia chiamato fuori, pubblicamente, una trentina di volte. Basta, qui ci vuole in taglio, ha spiegato ai suoi consiglieri, e allora via, fuori, lontano, nella sua Sicilia. Un'ora di aereo, cinquecento chilometri, il mare in mezzo: Sergio Mattarella prende le distanze fisiche, oltre che politiche, dalla scelta del suo successore.
Il capo dello Stato infatti è arrivato stamattina a Palermo e ci resterà, fanno sapere dal Quirinale, «almeno due o tre giorni». Domani seguirà dalla sua casa panormita le operazioni di scrutinio della prima votazione e da lì si occuperà pure del trasloco nella sua nuova abitazione romana nel quartiere Salario, previsto per gli inizi di febbraio: il suo mandato scade il 3. Intanto, per rinforzare il concetto, Giovanni Grasso, consigliere per la comunicazione e direttore dell'ufficio stampa, pubblica su Twitter una foto di sacchi grigi della spazzatura e di scatoloni pieni di carte e oggetti destinati a Palazzo Giustiniani, che ospiterà il nuovo ufficio di Mattarella da senatore a vita. «Weekend di lavori pesanti», scrive.
Dunque, quando gli oltre mille grandi elettori depositeranno le loro schede per scegliere il tredicesimo presidente della Repubblica, il dodicesimo presidente non sarà in sede. Chissà, forse pensa che la prima non sarà la seduta decisiva. O magari è un modo per sottolineare ancora che quella partita non lo riguarda. Sono sei mesi che Mattarella ad ogni discorso, ad ogni uscita pubblica, ripete di non essere disponibile per un bis. I motivi sono di ordine costituzionale: sette anni sono già troppi, figuriamoci quattordici. Siamo una Repubblica, non una monarchia. E se è vero che c'è il precedente di king George Napolitano, supplicato dai partiti di entrambi gli schieramenti a restare ancora un po' e convinto controvoglia alla ragion di Stato, è anche vero che due eccezioni diventano una nuova regola, uno stravolgimento di fatto delle corrette procedure istituzionali. Uno strappo alla Carta.
Poi stavolta, e qui veniamo ai motivi politici, finora non si è vista nessuna fila di leader dei partiti sul Colle per pregarlo di rimanere. Solo qualche vago appello, qualche speranza soprattutto del Pd che non ha candidati, qualche invito venuto dall'estero, nei mesi scorsi: Biden, la Ue, i giornali finanziari. E adesso però a poche ore dal via, il nome di Mattarella è comunque tornato a galla, in versioni e funzioni sempre diverse. Lo hanno fatto quelli, grillini e centristi vari, che non vogliono le elezioni anticipate. Quelli che lo usano come minaccia per spianare la strada a Draghi.
Quelli che al contrario vogliono che il premier resti a Palazzo Chigi. Insomma, sta accadendo proprio quanto il capo dello Stato voleva evitare, l'effetto frullatore. Così ha fatto ciao ed è partito per Palermo: ripassate, semmai, con proposte serie.
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