La mossa in extremis di Matteo Salvini suona tardiva. Tenta di riaccendere un forno ormai gelido perché spento e manda un messaggio a Di Maio che più chiaro non si può ma fuori tempo massimo. «Taglio dei parlamentari, revoca delle concessioni autostradali a chi è inadempiente, riforma dello sport (già approvata) e contrasto a lobby e poteri occulti, da Bibbiano ai banchieri corrotti. La Lega c'era, c'è e ci sarà», twitta il capogruppo leghista al Senato Massimiliano Romeo rispondendo a Di Battista. C'era, c'è ma soprattutto «ci sarà». Nel senso: siete ancora in tempo a rifidanzarvi con noi che appoggeremo i provvedimenti che vi stanno più a cuore. Ma l'offerta è intempestiva e si traduce in un sasso lanciato in uno stagno; in un po' di sabbia versata nell'ingranaggio in moto per formare un governo giallorosso. Lo stesso Salvini, in una lunga diretta Facebook, liscia - forse per l'ultima volta - il pelo a Luigino: «Leggevo che Di Maio si sarebbe impuntato perché vuole fare il ministro dell'Interno. Vai, fai, se mi chiederai consiglio, ti darò tutti i suggerimenti per fare al meglio questo mestiere che è difficile ma è entusiasmante». Miele; che non attacca, però. Come sull'immigrazione quando gli «odiati» Toninelli e Trenta firmano il divieto d'ingresso alla Eleonore: «Soddisfazione per la ritrovata compatezza del governo a fronte dell'ennesimo tentativo di avvicinamento alle acque italiane di una ong tedesca», dice il Viminale in una nota. Altra caramella offerta ai grillini: «Sul taglio dei parlamentari, ci siamo anche per farlo domani. Si può fare, è un segnale di serietà e di rispetto del contratto di governo e di un'altra promessa mantenuta». I corteggiamenti non sortiscono effetti: il silenzio pentastellato è assoluto. C'è rammarico: «Abbiamo tenuto le porte aperte per diversi giorni...». Inutilmente.
A Salvini non resta che picchiare duro su Conte. Coi suoi lo stronca senza pietà: «È passato da avvocato del popolo ad avvocato delle élites». Perché quello che sta per partorire, agli occhi del Carroccio, è un «pateracchio nato già da tempo con la benedizione dei poteri forti, seguendo un disegno ben preciso partito da Bruxelles», dice il leader. Sull'endorsement di Trump, glissa: «Sono in silenzio stampa», scherza. Romeo rincara la dose: «Curioso: da premier sovranista diventa premier rigorista che più rigorista non si può». E Salvini lo sbeffeggia citando il nemico numero uno dei gialloverdi: «Più che un Conte bis sembra un Monti bis che porta al governo gli sconfitti». Per il resto è tutto uno schiumare rabbia sui giallorossi: «State perdendo giorni su giorni, e non trovate accordo sui ministeri. Non sui progetti ma sulle poltrone. Sembra di tornare ai tempi di De Mita e Fanfani». E ancora: «Stanno facendo un governetto il cui unico collante è l'odio per la Lega. L'ha ammesso anche la Boschi: I 5 stelle sono degli incompetenti; però, pur di non far vincere Salvini...». Quindi il messaggio diretto: «Pd e M5s da giorni si stanno incontrando, telefonando, convocano e sconvocano riunioni... Fate quello che volete ma fate in fretta. Altrimenti la via maestra in qualunque democrazia è andare a elezioni».
Le urne sembrano un miraggio, però.
E pure l'appello al capo dello Stato pare destinato al flop: «Confidiamo, anzi siamo sicuri - dice tronfio Salvini - che il presidente Mattarella non permetterà questo mercimonio ancora a lungo». Al Capitano non resta che aggrapparsi alle parole del presidente che avvertì tutti: «Voglio una maggioranza con numeri certi in Parlamento ma anche un programma solido». E su questo non c'è nulla. Per ora.
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