«Non abbiamo invaso l'Ucraina. Abbiamo dovuto lanciare un'operazione militare speciale per far capire all'Occidente che tirare l'Ucraina nella Nato era un atto criminale». Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri russo simbolo, una volta, del dialogo con l'Occidente, ci tiene a far capire che il tempo della guerra sarà lungo. E lo fa nel corso di una durissima intervista alla Bbc, simbolo informativo di un Regno Unito diventato, con l'America, il suo principale nemico. Un'intervista in cui Lavrov non nasconde le asprezze della guerra. «La Russia - ammette - non è perfettamente pulita. La Russia è quello che è. E non ci vergogniamo di mostrare chi siamo».
Ma quell'intervista concessa mentre Mario Draghi, Emmanuel Macron e Olaf Scholz sono a Kiev è anche un messaggio all'Europa. Un'Europa considerata ostile, ma anche irrilevante sia ai fini della guerra, sia della trattativa. Anche per questo Lavrov parla con la Bbc e non con un media europeo. Anche per questo preferisce rivolgersi a un nemico storico come Londra anziché a Bruxelles. «I contatti con l'Europa non sono più tra le priorità della Russia» - spiega mentre affonda il coltello nelle contraddizioni di un'Unione pronta, a suo dire, ad accogliere la candidatura di una nazione priva di quei requisiti di democraticità e trasparenza economica pretesi da altri stati membri. «Ancora una volta l'Ue - dice Lavrov - chiude un occhio su tutti i criteri per farsi guidare da considerazioni esclusivamente geopolitiche». Come dire che la candidatura di Kiev all'Ue, garantita ieri dalla troika europea, risponde solo alla logica della contrapposizione con la Russia.
Certo, a Mosca c'è anche chi si sforza di esser più roboante, come l'ex presidente Dmitri Medvedev. In un tweet avvelenato, Macron, Draghi e Scholz diventano «fan di rane, spaghetti e salsicce di fegato che amano far visita a Kiev. Ma con zero risultati. Dopo aver promesso all'Ucraina l'adesione alla Ue e qualche vecchio obice buttando giù dell'horilka (vodka ucraina) - scrive l'ex presidente russo - se ne sono andati a casa in treno come cento anni fa. Tutto a posto, questo non porterà certo l'Ucraina alla pace. Il tempo stringe». Per quanto roboante quella di Medvedev resta l'uscita, a uso interno, di un ex presidente alla disperata ricerca di una ritrovata popolarità.
Il vero avvertimento ai tre leader europei in missione a Kiev arriva, invece, da Dmitriy Peskov. Per il portavoce del Cremlino Draghi, Macron e Scholz non devono concentrarsi «sul sostegno all'Ucraina riempiendola ulteriormente di armi inutili che prolungano le sofferenze e causano ancora più danni». Ai politici europei spetterebbe invece il compito di «incoraggiare il presidente Zelensky a considerare lo stato reale delle cose». Un sottile messaggio a quanti in Europa, ma anche nell'amministrazione Usa, pensano che le elevatissime perdite subite dagli ucraini rendano inutile l'invio di nuove armi. Secondo quelle analisi Kiev è ormai a malapena in grado di rimpiazzare morti e feriti, e non certo di schierare personale addestrato all'uso dei nuovi armamenti. Spiegare a Zelensky «il reale stato delle cose» equivale, per il Cremlino, a far intendere che la sconfitta è alle porte e l'unica via d'uscita è una trattativa sulla resa. Non a caso assieme alle dichiarazioni di Peskov arrivano quelle del capo negoziatore russo Vladimir Medinsky. Per Medinsky «la Russia è pronta ai colloqui» anche se «i negoziati sono fermi su iniziativa dell'Ucraina». La trattativa, nei calcoli di Mosca, potrebbe ripartire alla fine dell'offensiva nel Donbass, ovvero dopo la presa dei territori del Lugansk e del Donetsk ancora sotto controllo ucraino. Senza un ritorno al tavolo negoziale l'offensiva continuerebbe, invece, fino a Odessa, privando l'Ucraina di ogni sbocco al mare.
A mettere nero su bianco un avvertimento che i vertici del Cremlino si guardano bene, per ora, dall'esplicitare ci pensa Denis Pushilin, presidente dell'autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk. «Le forniture di nuove armi dell'Occidente all'Ucraina - dice Pushilin - ci costringeranno a non fermarci... dobbiamo liberare tutte le città russe». Un avvertimento capace di far tremare i polsi a molti governi europei. Solo un intervento diretto della Nato potrebbe ricompattare l'esercito ucraino e arginare l'avanzata su Odessa. Ma rompere quel tabù equivarrebbe a uno scontro diretto con la Russia e al rischio di un'escalation nucleare.
Il consiglio del Cremlino è di non fare i conti senza l'oste. E ricordare che solo una trattativa con Washington, che spazi dalle sorti dell'Ucraina fino alle sanzioni e ai limiti dell'influenza Nato in Europa, potrà fermare la guerra.
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