Meloni sente Stoltenberg: decreto armi a metà novembre. E Kiev punta il dito sulla Lega

Telefonata tra premier e segretario Nato: sul tavolo escalation e Mediterraneo. Il governo di Zelensky contro il capogruppo del Carroccio Romeo: "Vuole compiacere Putin"

Meloni sente Stoltenberg: decreto armi a metà novembre. E Kiev punta il dito sulla Lega

Sono due i principali dossier con cui è alle prese Giorgia Meloni: la legge di Bilancio (che va messa a punto senza perdere neanche un giorno) e l'escalation in corso tra Mosca, Kiev e il resto dell'Occidente (un'accelerazione che negli ultimi giorni sta mettendo in allarme tutta la comunità internazionale). Sul primo fronte, il premier era allertato da tempo, non fosse altro perché è la prima volta nella storia della Repubblica che si vota a settembre ed era chiaro a tutti che la manovra - da approvare entro il 31 dicembre per evitare il rischio dell'esercizio provvisorio - sarebbe dovuta essere il primo punto in agenda del nuovo governo. Non è un caso che ieri Meloni abbia incontrato a Palazzo Chigi il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, quello degli Affari europei e del Pnrr, Raffaele Fitto, e il responsabile economico di Fdi, Maurizio Leo. È il secondo fronte, però, quello che in queste ore preoccupa di più il presidente del Consiglio. Che si ritrova catapultato in un rischio escalation che il caso vuole coincidere con i primi giorni di vita del suo esecutivo. Che, non è un segreto, è un partner a cui le diplomazie occidentali guardano sì con fiducia, vista la linea ineluttabilmente filo-atlantista che ha sempre tenuto Meloni, ma anche con un pizzico di apprensione per le recenti posizioni della Lega e del suo leader.

Così, non è un caso, che la prima grana diplomatica del neo-premier arrivi proprio dal Carroccio. Con la diplomazia di Kiev che non ha preso affatto bene l'intervento del presidente dei senatori del Carroccio, Massimiliano Romeo, durante le dichiarazioni di fiducia. Il capogruppo leghista si era spinto ad auspicare «negoziati di pace» al più presto, perché «si fa fatica a sentire che decideranno gli ucraini» e sarebbe «meglio dire che decide la comunità internazionale nell'interesse dell'Ucraina». Una linea che è molto distante da quella sempre tenuta da Ue e Nato e che ha irritato non poco Volodymyr Zelensky. Un fastidio che ha scelto di manifestare pubblicamente, per mettere in chiaro che - nonostante la posizione filo-atlantica di Meloni - la Lega resta comunque «attenzionata» e non ci sarà alcuna comprensione per eventuali scivoloni. Ecco perché il portavoce di Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri ucraino, decide di replicare in maniera durissima a Romeo. «La dichiarazione del senatore - dice - riflette la sua posizione personale. In quasi tutti i Paesi ci saranno politici che cercheranno di compiacere Vladimir Putin». Ma, aggiunge, «il premier ha articolato chiaramente la posizione dell'Italia» sottolineando «la necessità di continuare a sostenere l'Ucraina sullo sfondo dell'aggressione russa e il diritto indiscutibile degli ucraini di determinare il proprio futuro». Un affondo a cui Romeo - e tutta la Lega - sceglie di non replicare. E che accomuna Lega e M5s, visto che la diplomazia di Kiev ieri ha avuto da ridire anche con Giuseppe Conte. L'ambasciatore ucraino in Italia, Yaroslav Melnyk, ha infatti scritto una lettera al leader grillino puntando il dito contro «le manifestazioni esclusivamente all'insegna della pace, con appelli impersonali a un cessate il fuoco» che «non riguardano la giustizia, ma sono una dimostrazione di viltà e ipocrisia». E ancora: «La riluttanza a chiamare la Russia un aggressore e chiedere il ritiro delle sue truppe dall'Ucraina non farà altro che stimolare l'appetito dello Stato aggressore». Una lettera a cui l'ex premier risponde giocando come sempre su un equilibrismo che, forse, ha un suo appeal elettorale ma, di certo, nessuna efficacia sulle diplomazie internazionali. Il M5s - dice - prenderà parte alla manifestazione del 5 novembre, senza «equivoci e ambiguità» ma «nella condanna dell'aggressore russo» e «nel rispetto della resistenza» e «del popolo ucraino». Tutte sfumature che però a Kiev non sembrano cogliere.

È in questo quadro che ieri Meloni ha avuto un colloquio con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Ha ribadito che «l'Alleanza Atlantica è indispensabile per difendere la sicurezza e i valori comuni che caratterizzano l'identità occidentale» e ha «riaffermato il pieno sostegno all'Ucraina contro l'aggressione». Il numero uno della Nato ha parlato di una «ottima telefonata» con un Paese che «è un alleato impegnato» e che «fornisce un solido contributo alla nostra deterrenza e difesa», un partner «fondamentale per il sostegno degli alleati all'Ucraina». Parole, quelle di Stoltenberg, che fanno seguito a un colloquio in cui si sarebbe parlato anche di un ulteriore invio di armi, con Meloni che avrebbe confermato l'intenzione di voler approvare entro metà novembre il sesto decreto sull'invio di forniture militari. D'altra parte, l'escalation in corso - certificata ieri dalle parole di Putin - impone tempi stretti.

Anche perché le «esercitazioni tattiche» di unità nucleari americane e russe in corso da mesi a largo della Puglia lasciano temere che proprio quella zona del Mediterraneo - tra Adriatico e Ionio - possa diventare un pericoloso focolaio.

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