Merkel e il protezionismo Usa "Trump non conosce la Storia"

La Cancelliera attacca il presidente: «Chiudersi non risolve i problemi». Macron: «Più cervelli, meno armi»

Merkel e il protezionismo Usa "Trump non conosce la Storia"

Roberto Fabbri

Fatti per non capirsi. A Davos, sede del Forum Economico Mondiale a maggioranza maschile ma a trazione femminile, Angela Merkel scrive un nuovo capitolo della sua incompatibilità politica e culturale con Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti che ha scelto la strada del protezionismo e che in occasione della visita della Cancelliera tedesca alla Casa Bianca nello scorso marzo aveva finto di non accorgersi della mano che la ospite gli stava tendendo da stringere. «Oggi, cento anni dopo la catastrofe della Grande Guerra, dobbiamo chiederci se abbiamo davvero imparato la lezione della Storia, e a me pare di no. L'unica risposta è la cooperazione e il multilateralismo», ha detto la Merkel nel suo intervento con chiaro riferimento alle politiche isolazioniste di Trump.

Non era finita qui, altre martellate made in Germany attendevano il presidente americano, peraltro ancora assente. «Il protezionismo non è la risposta giusta - ha insistito la Cancelliera -. Dobbiamo trovare risposte multilaterali, non seguire un percorso unilaterale che porta all'isolamento».

E ancora: «Fin dai tempi dell'Impero Romano, fin dai tempi della Grande Muraglia cinese sappiamo che limitarci a rinchiuderci non aiuta. Chiuderci non ci porterà a un futuro più sereno», ha rimarcato una Merkel in vena didascalica, contrapponendo ai «muri» virtuali e fisici che Trump intende costruire le iniziative messe in atto dall'Europa per contrastare il fenomeno delle migrazioni di massa: la cooperazione con l'Africa (di cui la Germania è protagonista) e l'intesa con la Turchia di Erdogan fortemente voluta da Berlino per arginare la marea migratoria diretta verso i Balcani.

La Cancelliera tedesca ha insomma messo Trump nel mirino, contrapponendo al suo «egoismo nazionale» («ce n'è in giro troppo») l'esigenza di «creare un futuro condiviso in un mondo frammentato», che è poi lo slogan del Forum di Davos da lei lodato come «esattamente giusto per il 2018». Dicendo questo, Angela Merkel ha glissato su ciò che viene spesso rimproverato alla Germania da lei guidata, ovvero di aver sapientemente orientato le politiche economiche dell'Unione al prioritario interesse dell'«egoismo nazionale» tedesco. Non è escluso che sarà Trump a ricordarglielo.

Logico, in questo contesto, che la Merkel abbia anche lodato l'azione politica del giovane nuovo presidente francese Emmanuel Macron - ben deciso a rinnovare la tradizione della guida francotedesca dell'Unione - chiamandola «un nuovo impulso a rafforzarci». Quel Macron che ha aggiunto ieri del suo alle sparate contro Trump («Per fortuna qui non è stato invitato nessuno scettico sui cambiamenti climatici», «Servono meno armi e più cervelli»). E che ha saputo, tra le altre cose, ricondurre alle sue reali dimensioni il fantasma del lepenismo, che invece tanto disturba i sonni della Cancelliera sotto forma del partito di destra xenofoba Alternative für Deutschland.

Il populismo di destra «è un veleno per l'Europa prodotto da problemi irrisolti», ha lamentato infine la Merkel davanti all'uditorio di Davos.

La Cancelliera è troppo intelligente per non aver compreso che è stata lei stessa con il più grave errore della sua carriera politica - l'apertura delle frontiere tedesche a un milione di profughi siriani - a produrre quel veleno, arrivato a indebolirla fin nel Bundestag dove Afd è oggi la terza maggior forza. La mancata soluzione del problema migrazione le è costato caro.

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