Se persino Televisa, il moloch televisivo messicano, a differenza del passato stavolta gli ha concesso lo stadio Atzeca per il suo ultimo comizio, allora di una cosa siate pur certi: domani notte Andrés Manuel López Obrador, ai più noto con l'acronimo Amlo, sarà proclamato vincitore delle presidenziali messicane più scontate di sempre.
Del resto, questo figlio di umili commercianti venuto al mondo nel 1953 in un paesino di poche anime - per farlo nascere leggenda narra che suo padre dovette pagare un secondo medico visto che il travaglio della madre durò qualcosa come tre giorni ed il primo si era dato - è da una vita che prova a diventare il primo presidente di sinistra del Messico. Già, perché prima Benito Juárez fu sì un grande presidente però liberale ed anticlericale più che di sinistra (1858-1872), mentre poi Pancho Villa ed Emiliano Zapata, miti della sinistra mondiale, non riuscirono mai ad arrivare alla guida del loro Paese, essendo stati assassinati pochi anni dopo la rivoluzione (1910-11) contro il dittatore sanguinario dell'epoca, Porfirio Diaz.
López Obrador, invece, non ha mai avuto né contro il Vaticano (come Benito Juárez, che gli mandò Massimiliano d'Asburgo come «regalo) né i poteri forti e criminali del Messico (come Villa e Zapata), ma forse per la vaghezza dei suoi pensieri l'altroieri all'Atzeca Amlo ha detto che appena presidente ripristinerà «lo stato di diritto» e la farà «finita con la corruzione» - mai nessuno ha mai pensato neanche lontanamente di farlo fuori.
Sconfitto invece sì, per ben due volte. La prima, nel 2006, dal panista - ossia membro del Pan, partito di destra - Felipe Calderón e, sei anni dopo, nel 2012, dall'uscente Enrique Peña Nieto, del Pri, partito rivoluzionario istituzionale, iscritto per quanto conti ancora oggi all'Internazionale socialista ma più una Dc italiana vecchia maniera che un partito di sinistra.
A guardare i componenti della coalizione «Insieme faremo storia» che appoggia López Obrador, in realtà, c'è di tutto un po'. In primis Morena, il Movimento della Rigenerazione Nazionale fondato nel 2011 proprio per mandare alla presidenza Amlo e che è affiliato al Foro di San Paolo, organismo pensato da Fidel Castro in ottica post-muro di Berlino, nato nel 1990 sotto il patrocinio del brasiliano Lula da Silva e che oggi, almeno in America Latina, ha scalzato l'Internazionale socialista. Ma attenzione, a fare insieme la storia con Amlo da domani sera ci sarà anche il raggruppamento che s'ispira negli slogan al maoismo, il Pt, ovvero il partito dei lavoratori del Messico e, dulcis in fundo, il Pes, di destra, cattolico radicale, contrario al matrimonio gay e all'aborto.
Questa, dunque, la coalizione che, al terzo tentativo, porterà finalmente Amlo alla presidenza e che è destinata a sconvolgere l'attuale scenario parlamentare messicano, sino ad oggi rappresentato in gran maggioranza dal Prd, il partito della rivoluzione democratica (di sinistra light) oltre ai già citati Pri e Pan. Stando ai sondaggi, infatti, la coalizione «Insieme faremo la storia» di Amlo dovrebbe aggiudicarsi circa il 60% dei seggi in Parlamento, a scapito di Pri e Pan che dovrebbero crollare al 20% circa, mentre il Prd rischia la scomparsa.
E se l'ultimo sondaggio dà il 51% dei suffragi a Lòpez Obrador contro il 27% del 39enne Anaya (Pan) e il 19% di Meade (Pri) in Messico non c'è secondo turno, vince chi prende più voti domani tutti gli analisti si fanno l'unica domanda davvero importante: avremo un López Obrador pragmatico, come quando dal 2000 al 2005 aveva governato Città del Messico o dobbiamo attenderci un Amlo radicale? Al di là di quello che dice lui giura ortodossia ma il Financial Times l'associa a Lula è certo che i messicani non guardano alle elezioni di domani con spirito ideologico ma come voto di protesta di
fronte ad un sistema che, con Peña Nieto, ha prodotto decine di migliaia di altri morti (tra cui 115 candidati) oltre ad evidenziare i maggiori scandali di corruzione di sempre, almeno una ventina in sei anni, un record.
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