Minacce di morte alla toga pro migranti che accusò la polizia

La Albano dopo la sentenza su Tirana sporge denuncia: "Io intimidita". Quell'errore sugli agenti

Minacce di morte alla toga pro migranti che accusò la polizia
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Inaccettabili minacce di morte a Silvia Albano (nella foto), giudice del Tribunale di Roma, finita nell'occhio del ciclone per aver fatto rientrare in Italia i migranti tradotti in Albania. Albano, presidente di Magistratura democratica, si è sempre esposta pubblicamente, in maniera anche ideologica, preannunciando le sue ordinanze, ma questo non giustifica in alcun modo le minacce. Magistratura Democratica rivela che Albano «ha presentato un'articolata denuncia alla Procura della Repubblica di Roma». In un comunicato si sottolinea: «La campagna di discredito che è stata scatenata contro i magistrati romani, e in particolare contro Silvia Albano (nella foto), ha contribuito a costruire un clima di contrapposizione, di odio, trasceso infine in gravi minacce alla sua incolumità e alla sua vita».

Quando per un madornale errore di Albano la polizia di frontiera di Trieste è finita nel mirino, accusata falsamente di gravi maltrattamenti da un pachistano, nessuno ha alzato un dito in difesa delle forze dell'ordine. Come per l'Albania anche in questo caso, che riguarda la rotta balcanica, la giudice ha anticipato le sue mosse mesi prima ad un convegno sponsorizzato oltre che da Cgil, Cisl e Uil, da Md e Asgi, associazione finanziata da Soros di docenti, legali ed esperti, che fa di tutto per aprire le porte all'immigrazione.

Gianfranco Schiavone, che accoglie a Trieste i migranti della rotta balcanica, interviene il 14 ottobre 2021 a nome dell'Asgi annunciando «casi documentatissimi di tortura» e chiedendosi se «prima o dopo ci sarà un giudice a Berlino». Albano prende la parola sulla stessa linea immigrazionista e guarda caso, il 18 gennaio 2022, si trasforma nel «giudice a Berlino» accogliendo in pieno il caso di Mahmood Zeeshan presentato al tribunale di Roma dai legali dell'Asgi, che denuncia gravi maltrattamenti da parte della polizia di frontiera del capoluogo giuliano. «L'ordinanza fu una sorta di shock. Essere accusati di avere maltrattato in modo così cruento un migrante pachistano è stato molto triste per noi che siamo abituati ad accogliere le persone, non a bastonarle» racconta un protagonista di allora. Immediata la gogna mediatica e politica. «Nessuno ci difendeva dalle accuse di polizia stile Pinochet. Albano aveva avallato una serie di fandonie raccontate dal pachistano come le manganellate e la riammissioni in furgoni con finestrini oscurati, che non abbiamo mai avuto in dotazione» racconta Lorenzo Tamaro, segretario provinciale a Trieste del sindacato autonomo di polizia. Il vero obiettivo del caso, montato ad arte, è bloccare il rinvio in Slovenia dei migranti intercettati al capolinea italiano della rotta balcanica. Albano non solo dà ragione al pachistano, ma si spinge più in là bollando come «illegittime» le «riammissioni informali» in Slovenia. Il timido ministro dell'Interno, Luciano Lamorgese, le stava già congelando su pressioni dell'estrema sinistra. «L'ordinanza di Albano ha di fatto bloccato, praticamente per sempre - dichiara Tamaro - le riammissioni in Slovenia, che funzionavano come deterrente».

Storia simile all'Albania aggravata dal fatto che qualche mese dopo il Viminale vince il ricorso con una sentenza clamorosa: il pachistano si è inventato tutto, anzi non ha mai messo piede in Italia. I nuovi giudici non si pronunciano sulle riammissioni, come è giusto, ma al danno si aggiunge la beffa.

Il migrante bugiardo era già arrivato in Italia con visto della nostra ambasciata a Sarajevo e volo pagato grazie all'ordinanza Albano. Asgi conferma: «il sig. M.Z.», che ha accusato di infondata brutalità la polizia di Trieste, «ha potuto, comunque, esercitare il suo diritto a chiedere asilo in Italia».

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