Tornano le interferenze russe sulle elezioni americane. Nei mesi precedenti il voto di Midterm, sono stati riattivati account falsi per prendere di mira Joe Biden e i dem, nonchè suscitare la rabbia degli elettori conservatori e minare la fiducia nel sistema elettorale americano. Quest'anno c'è però un obiettivo nuovo: contestare gli aiuti militari a Kiev usando i soldi dei contribuenti. Lo rivela il New York Times, citando tra i responsabili principali la Internet Research Agency dell'oligarca Ievgheni Prigozhin, «lo chef di Putin», fondatore del gruppo Wagner e stretto collaboratore del presidente russo Vladimir Putin.
Prigozhin ha ammesso di aver interferito nelle elezioni americane. E, sul sito Internet della sua azienda Concord, ha annunciato che è pronto a farlo di nuovo. In post su Telegram relativo ad una risposta data ai giornalisti alla vigilia del voto di midterm ha scritto: «Vi risponderò con sottigliezza e delicatamente. Mi scuso ma permetterò una certa ambiguità. Signori, abbiamo interferito, interferiamo e interferiremo». L'uomo d'affari russo è soggetto a sanzioni con l'accusa di aver già interferito nelle elezioni americane del 2016. «Attentamente, precisamente, chirurgicamente e a modo nostro, perché sappiamo come fare. Durante le nostre operazioni puntuali, rimuoveremo sia fegato che reni», ha proseguito Prigozhin. Secondo la Cnn non è chiaro fino a che punto le sue affermazioni sarcastiche vadano prese sul serio. Prigozhin è anche fondatore dell'Internet Research agency, nota fabbrica di troll già accusata di interferenze nelle elezioni americane. L'agenzia di stampa russa Ria Novosti ha parlato di «semplice commento ironico», anche se il tempismo non fa ridere affatto. E neppure i precedenti.
Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov non ha commentato la notizia del Wall Street Journal secondo cui - stando ad alcune fonti del giornale - negli ultimi mesi il consigliere per la Sicurezza nazionale americana, Jake Sullivan, avrebbe avuto «conversazioni riservate con i principali collaboratori del presidente russo Vladimir Putin nel tentativo di ridurre il rischio di un conflitto più ampio sull'Ucraina e di mettere in guardia Mosca dall'uso di armi nucleari o altre armi di distruzione di massa». «Non abbiamo nulla da dire su questa pubblicazione», ha detto Peskov ai giornalisti aggiungendo che sarebbe «necessario contattare o il giornale o la Casa Bianca». Lo riporta la Tass.
L'aria è comunque tesa. I funzionari elettorali degli stati dove si giocheranno le sorti del prossimo Congresso, stanno rinnovando gli appelli alla calma e la pazienza di fronte a spogli che, per i duelli, più accesi potrebbero non concludersi nella notte elettorale. Il timore è infatti quello di una replica dello scenario del 2020, con Donald Trump e l'esercito dei suoi candidati che tornano, con accuse di brogli elettorali, a mettere sotto accusa l'integrità del voto e a far salire la tensione. «Saranno necessari alcuni giorni, questo non significa che succederà qualcosa di nefasto», ha detto Leigh Chapman, segretario di Stato della Pennsylvania, dove il duello tra John Fetterman e Mehmet Oz potrebbe essere l'ago della bilancia per il controllo del Senato. In alcuni stati, come la Pennsylvania - dove secondo i dati relativi a sabato scorso sono arrivate 1,1 milioni di schede per posta - non solo non è permesso scrutinare i voti per posta prima dell'election day ma non è neanche possibile aprire le buste e assolvere il lungo processo di verifica dell'identità del votante che deve svolgersi prima dello scrutinio. I ricorsi sono partiti per ora in tre stati chiave, e in alcuni casi sono stati già vinti dai repubblicani, che invece, seguendo la linea di Donald Trump, esortano la propria base ad andare a votare oggi di persona.
La Corte Suprema della Pennsylvania, ha accolto la richiesta del comitato nazionale repubblicano tesa ad annullare tutti i voti per posta che non abbiano una data sulla busta, anche se consegnata prima dell'election day. La mossa potrebbe portare ad annullare migliaia di voti nello stato dove si gioca uno dei duelli decisivi per il controllo del Senato.
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