La chiamano stretta e la dipingono come la nuova dimensione repressiva del governo Meloni. Una dimensione realizzata mediante missioni navali pronte a respingere i migranti o, peggio, attraverso Centri di Permanenza e Rimpatrio (Cpr) trasformati in campi di detenzione di massa. Un immaginario fatto proprio dal governatore della Toscana Eugenio Giani convinto che il vero problema sul fronte immigrati sia «come farli entrare e accoglierli, non come buttarli fuori» mentre annuncia di non voler «dare l'ok a nessun Cpr in Toscana». Meno ideologica e più compassata la reazione del governatore alto-atesino Arno Kompatscher pronto ad accettare l'apertura di un Cpr da 50 posti che soddisfi «solo le esigenze locali» senza «trasferimenti da altre regioni».
In tutto questo le illazioni della sinistra dimenticano che l'intensificazione dei rimpatri e una possibile missione navale europea sono parte del decalogo elencato a Lampedusa dalla Presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. La missione navale, comunque, non è, per ora, sulla carta. E se anche se lo fosse non potrebbe operare nelle acque territoriali della Tunisia senza il consenso di quel paese. Dunque rappresenterebbe un autogol per l'Italia perché le navi europee finirebbero con lo sbarcare i migranti nei nostri porti come succedeva con la Missione Sophia. Partiamo dunque dal raddoppio dei Cpr e dall'estensione dei termini massimi di reclusione da 12 a 18 mesi approvato lunedì dal Cdm. Il raddoppio, programmato da tempo non è un provvedimento repressivo, ma punta a fronteggiare la carenza di posti nei dieci Cpr in attività (Bari Brindisi Caltanissetta Roma Torino Potenza Trapani Gradisca d'Isonzo Macomer e Milano). E il governo s'è già messo in moto: nuovi cpr in 12 Regioni, uno in ogni Regione, tra rirpistino degli esistenti e creazione di strutture ex novo. In quei dieci centri la capienza teorica è di circa 1370 posti, ma quella effettiva è meno della metà. Alla devastazione del Cpr di Torino - distrutto durante una rivolta a febbraio - s'aggiungono, infatti, i ricorrenti atti di vandalismo che impongono la chiusura di intere sezioni e riducono la capienza reale a meno di 700 posti. Un numero insufficiente a garantire i rimpatri di tutti gli immigrati irregolari con pesanti pregressi penali. Un punto sottolineato ieri dal governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga. «Nei Cpr - ricorda - ci sono solo persone che hanno precedenti penali». La precisazione - diffusa per smentire chi paventa il rimpatrio forzato di migranti a cui è semplicemente scaduto il permesso di soggiorno o di lavoro - ha un altro risvolto. Trattandosi di strutture riservate, per prassi, a chi ha collezionato denunce o precedenti rilevanti (dallo spaccio di droga a violenze e rapina) il raddoppio non permetterà certo detenzioni di massa. I numeri del resto parlano chiaro. Al 13 settembre i rimpatri del 2023 erano appena 3mila193. Dunque il raddoppio continuerà a garantire numeri assolutamente marginali. Anche perché i rimpatri continueranno a far i conti con l'imbuto dei consolati a cui spetta la fornitura dei documenti indispensabili per l'identificazione e il ritorno a casa. Dunque la moltiplicazione dei centri servirà solo a permettere un più efficiente rimpatrio dei migranti pericolosi per la pubblica sicurezza, ma non avrà conseguenze per chi - seppur non regolarizzato - si comporta onestamente. Senza dimenticare che chiunque accetti il «rimpatrio assistito» può, in pochi giorni, venir rispedito a casa e mettere fine alla permanenza nei Cpr. Anche l'annunciata collaborazione tra Ministero dell'Interno e Difesa non può esser spacciata per una militarizzazione dei Cpr. La collaborazione punta solo a individuare e riattare ex caserme che ben s'adattano a ospitare soggetti violenti e problematici.
Un classico esempio è il Cpr di Gradisca d'Isonzo ricavato da una ex caserma situata del goriziano. «Quel Cpr - ricordava ieri Fedriga - funziona molto bene garantisce i rimpatri e la sicurezza dei cittadini... È un impianto controllato dove chi è dentro, non può uscire».
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