Benvenuti nel gran bazar di Palazzo Chigi. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i suoi fedelissimi, Rocco Casalino e Alessandro Goracci, «svendono» poltrone: ministeri, sottosegretari, seggi in Parlamento (con la lista Conte) e nomine nelle partecipate. Il mercato va avanti senza soste. Ieri i deputati ex M5s Piera Aiello, Alessandra Ermellino e Raffaele Trano, presidente della commissione Finanze, sono stati ricevuti nella sede del governo. I pontieri (il senatore Emanuele Dessì e il ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà) trasformano le proprie segreterie in call center. Conte serra i ranghi: ieri sul tavolo del Cdm è approdata la nomina per la delega ai Servizi segreti. La scelta del premier è caduta su un «tecnico» estraneo ai due partiti di maggioranza, ma fidatissimo di Conte: il suo consigliere diplomatico Pietro Benassi, colui che è riuscito a far digerire l'ex avvocato del popolo alla Merkel e ha condotto tutte le trattative in Ue. Ma intanto l'operazione «costruttori-voltagabbana», per allargare la coalizione giallorossa e ottenere la maggioranza in Senato, non decolla. Anzi, il perimetro si restringe. Il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli attacca: «Nessuno si è accorto che in occasione del voto sullo scostamento di bilancio a Palazzo Madama la maggioranza invece di allargarsi si è già ridotta. Dei 291 voti espressi a favore dello scostamento di Bilancio, rispetto a quelli della fiducia il giorno precedente se ne sono già persi 4 per strada, e così si sono già ridotti a 152! Ma con 152 dove diavolo pensano di andare? Con 152 voti possono solo andare al Colle a rassegnare le dimissioni». In pratica, senza i voti delle opposizioni e di Iv, la maggioranza Conte si sarebbe fermata a 152 voti.
Sullo sfondo si intravede il Vietnam parlamentare: i renziani minacciano di non dare il proprio voto a favore alla relazione Bonafede sulla riforma della Giustizia, attesa in Aula il prossimo 27 gennaio. In almeno 10 commissioni si rischia la paralisi. E anche sul decreto Milleproroghe la coalizione Pd-Cinque stelle batte in ritirata: «Abbiamo chiesto che il termine per la presentazione degli emendamenti al decreto fosse martedì 26 gennaio, ma la maggioranza ha preteso di spostare la data a giovedì 28, ossia oltre il termine massimo», denunciano i parlamentari del Carroccio. L'idea del governo sul Milleproroghe è concentrare le modifiche e la discussione a Montecitorio, dove i numeri reggono ancora, e andare in Senato con un testo super-blindato per evitare sgambetti. Uno stallo che non può reggere. Ecco perché da Palazzo Chigi sono partiti i saldi di fine governo. Conte vorrebbe spacchettare le deleghe, reintrodurre il ministero per l'Attuazione del programma e allargare il numero dei sottosegretari. Mettere sul tavolo un bel po' di poltrone per far accomodare in maggioranza un gruppo di 10 senatori. L'avvocato getta l'amo ai centristi sulla legge elettorale: oggi parte l'iter in commissione Affari costituzionali per il proporzionale. Chi sono gli attenzionati? Tiziana Drago, senatrice ex M5s, che ha votato no alla fiducia sulle comunicazioni di Conte. Il premier le offre il ministero della Famiglia mollato dalla renziana Elena Bonetti. Due sono i senatori Iv corteggiati dagli uomini di Conte: Eugenio Comincini e Leonardo Grimani. Si tratterebbe, invece, di un rientro in coalizione quello del senatore Mauro Marino, ex Pd. Il piatto forte è la delega all'Agricoltura.
Si punta sui tre centristi dell'Udc, orfani di Lorenzo Cesa: Paola Binetti, Antonio Saccone e Antonio De Poli. Fallisce l'assalto alla forzista Anna Carmela Minuto. No secco da parte di Claudio Fazzone, altro senatore di Fi avvicinato dagli emissari di Palazzo Chigi.
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