Il mistero dei 24 milioni dello Stato transitati su Banca Etruria

I contributi ministeriali distratti per scopi personali. Altri burocrati arrestati, uffici perquisiti. Nei guai funzionari, liquidatori, commercialisti e consulenti

Il mistero dei 24 milioni dello Stato transitati su Banca Etruria

A ncora una volta alte sfere della burocrazia finiscono nel mirino della magistratura. Ieri la Guardia di finanza ha perquisito la sede della Ragioneria di Stato nell'ambito dell'operazione coordinata dalla Procura di Roma, che ha portato in carcere 22 persone per una serie di reati, che vanno dal peculato alla frode informatica al riciclaggio e autoriciclaggio attraverso un conto aperto nella filiale romana di Banca Etruria, l'istituto bancario il cui numero due è Pier Luigi Boschi, papà del ministro Maria Elena. L'indagine lampo, durata 3 mesi, e condotta dai procuratori aggiunti Nello Rossi e Michele Prestipino ha permesso di acquisire documenti e intercettazioni telefoniche, che hanno portato a due distinti filoni giudiziari, intrecciati solo perché alcuni soggetti del primo conoscevano casualmente altri del secondo.

Il principale, denominato «GFB», ha acceso i riflettori su alcuni burocrati disonesti, che dovranno rispondere di peculato. Riguarda «l'opaca gestione» di oltre 24 milioni di euro presenti in un fondo stanziato dal ministero dell'Economia e delle Finanze per la liquidazione coatta amministrativa e per una «gestione fuori bilancio» denominata «particolari e straordinarie esigenze anche di ordine pubblico della città di Palermo», istituita nel 1988 per realizzare urgenti opere di urbanizzazione in Sicilia. Il denaro è stato invece utilizzato per ragioni estranee alla finalità pubbliche. Le Fiamme gialle hanno scoperto che la somma, depositata su un conto della banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, nella filiale in via Uffici del Vicario, è stata invece utilizzata a scopi personali dal commissario liquidatore, il commercialista romano Stefano Nannerini, al quale nel 2003 era stata affidata la gestione fuori bilancio posta in liquidazione coatta amministrativa. Il commercialista arrestato ieri ha usato fino a 13 milioni per fini personali, dirottandoli attraverso 122 bonifici, 107 operazioni e 54 assegni circolari privi di non trasferibilità verso società che nel frattempo aveva costituito per avviare attività economiche nel settore delle energie rinnovabili in provincia di Catanzaro o assegnandoli a soggetti che non ne avevano diritto. Altri 6 milioni di euro, invece, sono stati accreditati su conti correnti di società collegate a un altro funzionario infedele della ragioneria generale dello Stato, Maurizio Antonio Persico, e a suo fratello Gianfranco Pasquale, consulente finanziario. Coinvolto anche l'ex ispettore generale capo di Finanza della Ragioneria generale, Domenico Mastroianni, attualmente in pensione, ma fino a novembre scorso membro del comitato che avrebbe dovuto vigilare sulla liquidazione della Gestione fuori bilancio. In manette è finito anche Giuseppe Cavalluzzo, dirigente della Ragioneria, direttore dell'Ufficio XIV dell'Ispettorato generale di Finanza, con competenze in materia di coordinamento delle attività di liquidazione degli enti soppressi. Movimenti anomali, che non sono sfuggiti agli ispettori di Bankitalia. I magistrati hanno stigmatizzano anche la condotta dell'istituto bancario che è stata troppo morbida e ha «omesso di segnalare tempestivamente anomalie evidenti nella gestione del conto permettendo la spoliazione dei fondi del Mef».

Ma l'inchiesta va avanti e sono in corso accertamenti per scoprire gli altri destinatari del denaro messo a disposizione dal Mef. «Neppure un euro è stato destinato alle finalità del fondo - ha sottolineato Prestipino - I 20 milioni sono stati distratti su strade diverse da quelle istituzionali».

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