Battere il terrorismo è un sentimento, una decisione profonda, una fede nella propria battaglia e nel proprio diritto alla vita. È anche la determinazione a battersi non violando, ma anzi difendendo i propri valori; è alzarsi la mattina sapendo che bisogna anche saper convivere con l'orribile bestia onorando la propria vita quotidiana. Una volta, durante la seconda Intifada col solito gruppo di donne facevamo ginnastica nella palestra dell'Ymca quando è arrivata la notizia di un autobus saltato per aria all'angolo. In tuta e sneackers, siamo tutte uscite di corsa fino all'angolo dove l'autobus era esploso. Abbiamo visto sgomberare i corpi senza vita. Dentro, ancora seduto, la testa reclinata, lo zaino in grembo, si intravedeva un corpo di una persona. Non ci lasciarono passare la transenna; dopo un poco siamo tornate in gruppo alla palestra, e abbiamo ripreso la lezione col cuore pesante quanto si può. «Brave - alla fine ci ha detto l'insegnante - ce l'avete fatta». Sei bravo, ma normale se durante un'ondata di terrore in Israele decidi di sederti al caffè con le amiche appena i locali vengono ricostruiti dopo un attentato con dozzine di morti, se vai al cinema comunque e ti siedi un po' indietro in caso si debba evacuare il teatro, in cui porti comunque i figli a scuola in macchina se puoi evitare il bus... La vita degli israeliani è tutta resistenza, esaltazione della vita normale, riuscire a mantenere i diritti delle tre religioni monoteiste a visitare ogni angolo di Gerusalemme in pace. È un obbligo morale prima ancora che pratico. Il terrorismo è sconfitto se si riesce a vivere senza paura, a restare nei kibbutz attaccati di continuo da Hamas sul confine di Gaza allontanandosi solo per le vacanze coi bambini se sono troppo stressati per poi riprendere il proprio posto, andare a fare la spesa al supermarket durante questa intifada dei coltelli e decidere dopo un giorno a casa di portare i bambini a scuola o a scuola di danza o di nuoto.
A monte di questo sentimento c'è la determinazione che la propria civiltà, con tutte i difetti delle democrazie, non debba mai rinunciare a rispettare la libertà di movimento e di opinione, i diritti della persona stabiliti dalla legge: si sa bene che il pericolo proviene dal mondo palestinese, ma a nessuno viene in mente di cancellare i loro diritti. Negli ospedali medici e malati, letto a letto, parlano ebraico e arabo e le famiglie visitano i degenti. Alla Knesset, i parlamentari, a scuola gli alunni, nei negozi i clienti e i negozianti: tutti sono soggetti al medesimo regime legale e giudiziario, niente viene modificato. Il rispetto per il Mufti della Moschea resta anche quando è proprio una «Intifada delle Moschee» quella che si minaccia. Ma la passione per la propria civiltà deriva anche dal fatto che Israele conosce il suo valore, e lo difende con la vita. Innanzitutto, l'esercito addestra i giovani non solo alla guerra convenzionale, ma a difendere la gente dal terrorismo, e in questo periodo infatti utilizzato ampiamente nelle città attaccate. A ogni attacco missilistico di Hamas rispondono gli F16 che si alzano in volo e bombardano i siti dei lanciamissili; ogni ingresso dei grandi negozi e di edifici pubblici è controllato da persone e macchinari necessari; la Knesset rivede e corregge continuamente le leggi che definiscono la punizione al terrorismo, e ultimamente hanno passato un testo, ferocemente discusso, in cui anche chi dichiara solidarietà col terrorismo è condannabile, in cui ogni cittadino sopra i 12 anni può essere arrestato, i sospettati possono essere prevenuti dal lasciare il Paese, per alcuni casi si può sospendere di 48 ore il primo incontro coll'avvocato, sono diventate severissime le regole che prevengono il finanziamento del terrore, anche sotto forma di ONG e di associazioni caritative. Nel 2002, dopo che il 27 marzo un attacco a Netanya fece 23 morti fra gli anziani partecipanti alla cena rituale di pasqua, il Seder (e questo avvenne dopo parecchie decine di assassinati) Ariel Sharon lanciò una dura operazione militare in cui Arafat, ritenuto il mandante principale, fu assediato nel suo compound della Mukata a Ramallah. Furono rastrellate Tulkarem, Qalqilya, Betlemme, Nablus, l'operazione aiutò non poco a porre fine al grande attacco alla gente di Israele. Questo non impedì a Sharon di essere più tardi il promotore dello sgombero da Gaza. Come diceva Yzchak Rabin: combattere il terrore come se non esistesse trattativa, trattare come se non esistesse il terrore.
Ovvero affrontare l'avversario su ogni terreno, con mezzi diversi, e soprattutto con la convinzione non solo della propria necessità di sopravvivere e restare se stessi, ma del fatto che essa sia indispensabile al genere umano intero.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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