Quel "mondo di mezzo" tra Roma e il Tevere

Sulle rive del fiume vive indisturbata una comunità di clochard e pregiudicati

Quel "mondo di mezzo" tra Roma e il Tevere

A Roma il «mondo di mezzo» c'è. Nel senso materiale del termine: nel terrapieno che si trova esattamente a metà fra il piano stradale dell'Urbe e le acque del Tevere, da almeno quattro anni si è insediata ed è cresciuta una popolazione di vario tipo, che vive indisturbata: clochard e sbandati, ma anche rom e persone di varie etnie. Prima era nascosta in arbusti mai potati, adesso si mostra con evidenza: le foto, scattate qualche giorno fa, sono di un open space a ridosso dei piloni del ponte dell'Industria, all'altezza del Gazometro, con salottino in bella vista, e una tenda-miniappartamento munita di discarica diretta nel fiume. In linea con una tradizione millenaria: poche centinaia di metri più in alto c'è la Cloaca Massima. Se percorrete al tramonto - dopo è sconsigliabile - la pista ciclabile che parte dal lungotevere Gassman e, costeggiando il fiume, giunge quasi all'altezza dello stadio Olimpico, le luci che cominciano ad accendersi non lasciano spazio a immaginazione: un accampamento senza soluzione di continuità anima ambedue le rive.

Fra il «mondo di sopra» e il «mondo di mezzo» esistono delle relazioni. Dal secondo durante la giornata raggiungono il primo, fra gli altri, rom con carrelli a seguito. Più d'una volta oggetti rubati nelle vicinanze - iPad col gps incorporato, quindi localizzabili con precisione -sono segnalati nel «mondo di mezzo». Aumentano i furti nelle abitazioni della zona, e con essi gli scippi: con l'incremento degli insediamenti paratiberini, sulle porte degli ascensori dei condomini più vicini sono comparse interessanti incisioni. Con le cifre corrispondenti ai piani di un palazzo, e a fianco di ciascun piano i geroglifici con l'indicazione delle condizioni degli appartamenti collocati sul piano e degli impianti di sicurezza. In genere non trascorre molto tempo fra il sopralluogo, la traccia lasciata da esso e la ripulitura degli appartamenti additati graficamente come meglio aggredibili.

Nonostante li separi un dislivello di appena tre metri, le regole del «mondo di sopra» non sono quelle del «mondo di mezzo». Sopra se una mamma che deve andare a lavorare lascia per dieci secondi l'auto fuori posto mentre accompagna i bambini alla scuola materna, al ritorno trova l'immancabile contravvenzione. Sotto chi di dovere interviene solo quando è obbligato: in genere si tratta dei Vigili del fuoco, se divampa qualche incendio tra le frasche. Le norme di sicurezza e di igiene valgono rigorosamente per i negozi che si affacciano sopra. Sotto raramente si vede un mezzo dell'Ama, e chi ha la divisa della municipalizzata non dà l'idea di morire di lavoro.

La risposta non può venire solo dal Comune di Roma, bensì da un'azione congiunta fra Comune, prefettura, forze di polizia e autorità giudiziaria. Il primo passo non può non essere il censimento di questa singolare fascia di popolazione. Se si identificassero gli abitanti del «mondo di mezzo» probabilmente verrebbero fuori tre gruppi: pluripregiudicati che - in quanto tali - vanno trasferiti dalla riva del Tevere al carcere, favoriti nel transito dal probabile rinvenimento di quella refurtiva che è il frutto del loro «lavoro» quotidiano. Stranieri senza permesso di soggiorno, che - in quanto tali e in applicazione della legge - vanno espulsi. Ma espulsi veramente, non con l'inutile foglietto contenente l'intimazione ad andarsene. Infine, persone che non hanno pendenze penali e sono italiani, o stranieri in regola: il Comune ha luoghi per accoglierli e non farli vivere nel degrado e, nell'ipotesi che non accettino sistemazioni decorose, pure per loro ci sono le leggi, che permettono l'allontanamento dai siti pubblici o dall'intero territorio della Capitale.

Quando, fra il 2008 e il 2010, si concordò e fu operativo un intervento analogo nei confronti della popolazione rom di Casilino 700 e di Casilino 900, una parte dei media e di ong e onlus di vario tipo gridarono alla schedatura ed evocarono la memoria delle deportazioni.

E però, chiunque prenda un aereo non si oppone alla identificazione personale, e se lo fa non parte; chiunque per strada sia fermato per un controllo non invoca le leggi razziali quando gli vengono chiesti i documenti. Non c'è logica nel pretendere che non si debba conoscere il nome, il cognome e la regolarità della posizione di chi vive ogni momento della sua giornata seguendo uno stile di vita che a qualche metro di distanza, nel «mondo di sopra», verrebbe prontamente sanzionato.

Non c'è logica nel continuare a ignorare quel che accade ogni minuto del giorno e della notte nel cuore di Roma, sotto gli occhi di tutti: dovrebbe esserci ancora qualche differenza fra la Capitale più bella del mondo e una qualunque megalopoli del lontano Oriente.

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