Gli affari di droga dell'appuntato Peppe Montella e dei suoi amici pusher andavano ben al di là dello smercio su una piazza di provincia. Spuntano ora i contatti e i traffici con la 'ndrangheta che domina a Milano, snodo fondamentale per l'approvvigionamento di stupefacente al Nord. Gli investigatori della Gdf di Piacenza hanno scoperto che il Montella narcos si riforniva dai clan originari della Locride di stanza in Lombardia. Per questo la Procura di Piacenza ha trasmesso gli atti dell'inchiesta alla Dda di Milano. Tutto parte da un viaggio in auto a San Valentino di quest'anno. Montella è sulla sua Audi A4 con Daniele Giardino. I due vanno a Milano per comprare la droga e trasportarla a Piacenza. Seguiranno altre trasferte, anche con l'amico spacciatore Tiziano Gherardi, per rifornirsi dai calabresi di hashish e marijuana a chili.
Le indagini hanno poi scoperto diversi episodi tipici dei «furbetti del cartellino». Tra le loro abitudini, i militari della Stazione Levante avevano quella di fingere di essere al lavoro quando in realtà erano a farsi i fatti propri, magari con l'auto di servizio. Un peccato quasi veniale, rispetto alle accuse più gravi che li hanno fatti finire nei guai: ma che la dice lunga sul clima di illegalità che si respirava all'interno della caserma. Il 5 marzo, per esempio, Montella e altri tre della Levante saltano sulla Punto di servizio e escono, in teoria di pattuglia: invece piazzano le gambe sotto il tavolo alla «Taverna del Castello» di Grazzano Visconti, mangiano e bevono per due ore, tornano in caserma alle 16: ma subito dopo ne escono di nuovo, sempre con la Punto, e invece di lavorare si imboscano al bar di piazza Cavalli e ne sbucano solo alle sei di sera. Scena simile il 12 marzo, Montella e altri due prendono la Punto, vanno al Leroy Merlin, ripassano in caserma a prendere un collega e poi via, tutti a bisbocciare nella villa di Montella sul Trebbia. Sempre in orario di servizio.
Colpisce la libertà d'azione che a Montella e soci veniva lasciata dai capi. Non c'è traccia di controlli sui loro spostamenti né da parte del comandante della stazione, Marco Orlando, né del maggiore Stefano Bezzeccheri, comandante della compagnia di Piacenza. La Procura ha scelto di non accusare l'ufficiale per tali omissioni, mentre lo chiama a rispondere del suo comportamento in almeno due interventi anomali contro lo spaccio. Bezzeccheri viene interrogato ieri per tre ore dal gip Luca Milani, che lo ha sottoposto all'obbligo di presentazione. Misura più blanda di quella che ha spedito in carcere Montella e altri quattro della Levante, perché Bezzeccheri non è coinvolto nei pestaggi e nei traffici di droga. Ma per due volte, per l'accusa, ha approvato il trucco-chiave della squadra di Montella. La prima il 27 marzo quando autorizza a non denunciare il confidente Ghormi El Mehdy, che ha comprato droga da uno spacciatore: perché El Mehdy viene usato come agente provocatore fuori da ogni regola, è lui a contattare gli spacciatori per poi farli arrestare dagli amici carabinieri. Ma se il suo ruolo di acquirente venisse messo a verbale, El Mehdy si vedrebbe revocare il permesso di soggiorno, così, con la benedizione di Bezzeccheri, Montella e gli altri falsificano il verbale. Stessa operazione, il 2 maggio, con un altro confidente, Jaime Vargas Viafara. All'ufficiale viene contestato l'abuso d'ufficio.
«Si evidenzia - scrivono i pm - che allo stato ancora non è compiutamente definito il ruolo del maggiore Stefano Bezzeccheri, il quale pur se consapevole del ricorso a fonti confidenziali» da parte dei sottoposti «non pare abbia mai chiesto contezza delle modalità con cui venivano gestiti i rapporti con le stesse».
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