È stato un vero attacco chimico o una messa in scena organizzata per giustificare gli attacchi alla Siria di Bashar Assad? E chi salverà l'Europa dalle ondate di migranti messe in moto da un attacco alla Siria? La Russia non ha dubbi. Siamo di fronte a una mistificazione che minaccia anche noi europei. E dietro il video che documenta l'attacco con i gas alla città di Duma e la morte di decine di donne e bambini c'è lo zampino di un servizio segreto occidentale. Ma l'Europa per Mosca deve guardarsi dal seguire Donald Trump perché rischia di ritrovarsi invasa da nuove ondate di profughi generate dall'aggravarsi della crisi siriana. A dirlo chiaro e tondo è il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.
«Abbiamo prove inconfutabili, è stata una messa in scena in cui sono coinvolti i servizi di sicurezza di un paese in prima linea nella campagna anti-russa», accusa Lavrov durante la conferenza stampa con l'omologo olandese Halbe Zijlstra. Il ministro degli Esteri russo non fa il nome del paese nemico, ma a pronunciarlo ci pensa il generale Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa del Cremlino. «Abbiamo prove che dimostrano il coinvolgimento della Gran Bretagna nella provocatoria operazione chimica realizzata in Siria dal 3 al 6 aprile - spiega il generale - Londra ha esercitato forti pressioni sui rappresentanti dei cosiddetti Caschi Bianchi per spingerli a realizzare il prima possibile una provocazione (con armi chimiche)». La Russia punta il dito, insomma, contro l'organizzazione di soccorso messa in piedi nelle zone ribelli, fin dal 2011, da un ex-ufficiale dell'intelligence di Sua Maestà. Un'organizzazione accusata di aver ordito numerose operazioni per screditare il regime e i suoi alleati. Il determinato j'accuse di Mosca lascia aperto, però, il discorso sulle prove dell'attacco chimico e delle responsabilità di Damasco che il presidente francese Emmanuel Macron sostiene di poter fornire. Il primo a smentirlo è il segretario alla Difesa statunitense James Mattis. Giovedì Mattis è andato alla Casa Bianca per spiegare al determinato presidente Donald Trump che, prima di agire, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia devono fornire prove più credibili di quelle ottenute fino a ora. Mattis, un ex generale conosciuto per il suo rigore, sa bene quanto complesso sia riuscire a farlo.
La clorina, l'agente chimico responsabile della morte di 40 civili - stando alle fonti ribelli - è assai facilmente reperibile. E in Irak stata usata più volte dai gruppi jihadisti contro le forze americane. In Siria gli stessi ribelli l'hanno impiegata contro l'esercito di Damasco. E il 15 marzo scorso Il Giornale ne ha visto alcune taniche in un deposito abbandonato dai ribelli in un villaggio nella zona di Ghouta. A moltiplicare i dubbi contribuiscono - oltre alla mancanza dei cadaveri delle vittime - l'assenza di un elenco con i loro nomi e quelli dei feriti ricoverati negli ospedali della zona. Una stranezza non da poco che si aggiunge alla firma, 24 ore dopo la presunta strage chimica, di un'intesa con il governo grazie alla quale i ribelli di Jaish Islam sono stati evacuati a bordo di pullman nella zona di Idlib. Come mai non hanno sfruttato l'opportunità per portarsi dietro qualche reperto?
Da oggi a condire con qualche briciolo di verità tante stranezze ci proveranno gli esperti dell'Opac, l'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche a cui venne affidata nel 2013 la distruzione degli arsenali chimici di Assad.
Convocati su richiesta della Russia, i tecnici dell'Opac saranno da oggi a Duma ma dovranno far i conti non solo con l'assenza di qualsiasi traccia di clorina, dispersa nell'aria già nelle prime 24 ore, ma anche con la difficoltà di condurre indagini obbiettive in una cittadina passata nelle mani dell'esercito siriano e russo.
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