La copertina del numero 1 di un famosissimo fumetto per bambini, un aperitivo popolare, un partito politico. Sembravano normali manifesti quelli comparsi a Napoli in diversi spazi autorizzati del Comune partenopeo proprio nei giorni delle celebrazioni di San Gennaro. A Chiaia, nelle vie del centro storico e in altri luoghi di intenso passaggio. Sembrava tutto normale, invece guardando meglio si leggevano alcune bestemmie che campeggiavano a tutto manifesto. Avete letto bene: bestemmie nei giorni più religiosi per un napoletano.
L’iniziativa è ascrivibile a “Ceci n’est pas un blasphème”, cioè “Questa non è una bestemmia”, Festival delle arti per la libertà d’espressione contro la censura religiosa, patrocinato dal Comune e in programma dal 17 al 30 settembre al Pan (Palazzo della Arti di Napoli). Un evento che, attraverso mostre e altri eventi, si propone di fornire informazioni sulla blasfemia nel mondo, contrastare il pregiudizio, dando alle opere anticlericali un contesto esplicativo, contrastare la censura, dando all’arte anticlericale committenza e spazi di espressione, produrre opere creative libere, raccogliere fondi da destinare a organizzazioni che offrono assistenza legale alle persone condannate per blasfemia e perseguitate per motivi religiosi. I manifesti bestemmiatori affissi su spazi pubblici comunali sono dunque una sorta di “guerrilla art” o “subvertising”, provocazione artistica, per lanciare l’evento e creare interesse.
Afferma la direttrice del Festival Emanuela Marmo: “ll sentimento religioso ha assunto un enorme valore come oggetto politico. Le lezioni che si verificano quando questo viene offeso sono di fatto ben più gravi delle provocazioni artistiche. Ci saranno opere volutamente offensive, alcuni artisti e artiste sono anti-clericali, ma il loro lavoro esiste in un contesto, veicola in modi determinati e riconoscibili: nessuno è obbligato a comprare un giornale o a visitare una mostra. La libertà d’espressione espressa dall’arte e dalle opere non impedisce ai credenti di avere fede o di praticare il culto. Dunque non deve accadere l’inverso”. Tesi discutibili. Perché la blasfemia offende un sentimento religioso altrui e anche perché non si capisce come mai sia solo la religione cattolica al centro di questo tipo di contestazioni radicali. Anche se, va detto, la direttrice del Festival Marmo ha preso le distanze dai manifesti con bestemmie.
Lasciando stare ciò, questo incrocio tra il festival della blasfemia e il più importante momento religioso della comunità napoletana, cioè le celebrazioni per San Gennaro del 19 settembre, danno il senso di questi 10 anni di supposta “rivoluzione arancione” a Napoli e del suo comandante, il sindaco uscente Luigi de Magistris. Un periodo finito miseramente nel grottesco con una situazione che nemmeno in una commedia di Eduardo o in un film di Salemme, pure gemme preziose di registri grotteschi, avrebbe trovato spazio. Certo Maria Palmieri, assessore alla cultura del Comune di Napoli, ha preso le distanze e ha detto che quei manifesti, poi rimossi, sono abusivi quindi non autorizzati. Ma la mostra e tutta l’iniziativa con i suoi propositi, tutto patrocinato e quindi condiviso da Palazzo San Giacomo. Come dire? Peggio mi sento!
Il primo fallimento riguarda le politiche culturali della Napoli arancione di Luigi de Magistris. Poche volte si è vista in questi anni una programmazione organica di eventi e mostre. È sembrata più un’opportunistica ricerca del vento che tira, una continua improvvisazione senza un fine ultimo che un percorso organico che proiettasse Napoli nell’empireo delle capitali culturali europee. E qui ovviamente non s’intendono i monumenti storici, il centro antico o quello straordinario patrimonio paesaggistico del Golfo cinto dalle tre isole Capri, Ischia e Procida. Un Comune è responsabile di eventi e manifestazioni organizzati sul proprio territorio, che portano visitatori e costruiscono una reputazione. Al di là del suo patrimonio artistico e paesaggistico. Lo ripetiamo: il problema non è la singola mostra o il singolo festival, ma l’azione politica che lo anima, il clima creato da un’amministrazione comunale.
Il secondo fallimento richiama l’arancione acceso delle reti da cantiere che da diverso tempo spuntano come funghi a segnalare muri pubblici diroccati, strade sprofondate, edifici crollati o pericolanti e altre mancate manutenzioni ordinarie. Una zona arancione permanente figlia non del coronavirus ma dell’immobilità del Comune. Che invece è stato in prima fila nella più sfrenata demagogia sinistrorsa, con l’aggravante però dell’assenza di partiti e di filiere culturali di cui pure Napoli è da sempre fucina e laboratorio permanente. Gli effetti più evidenti sono stati la flotta che de Magistris novello armatore voleva allestire per soccorrere i migranti in mare (8 luglio 2019), la lotta dai toni eversivi contro un Presidente del Consiglio in carica (“Renzi, ti devi c…re sotto di venire a Napoli!” urlò il primo cittadino dal palco di un comizio il 9 maggio 2016), il trasporto in Olanda via mare di 250mila tonnellate di rifiuti di Napoli (gennaio 2012). E poi i continui quanto vuoti richiami a “Napoli capitale”, “Napoli senza scuorno (vergogna in napoletano)”, “Napoli sociale”.
Luigi de Magistris è stato eletto sindaco di Napoli la prima volta il 16 maggio 2011 con il voto di 264.730 napoletani su 812.450 elettori. È stato riconfermato primo cittadino il 20 giugno 2016 da 185.907 napoletani su 788.291 elettori. Rosa Russo Jervolino venne eletta nel 2001 da 278.183 concittadini su 849.798 elettori e rieletta nel 2006 da 304.975 votanti su 828.496. Antonio Bassolino entrò a Palazzo San Giacomo nel 1993 sull’onda di oltre 300mila napoletani su 879.237 e nel 1997 con il consenso di 399.454 elettori su 861.455. Fuori dai numeri, Luigi de Magistris è stato sindaco di una minoranza della città, perdendosi tra l’altro per strada quasi 79mila elettori tra primo e secondo mandato. Nonostante abbia potuto contare su una sostanziale assenza di opposizioni dentro e fuori il Consiglio comunale.
Oggi Napoli ha perso la sua centralità geopolitica in Italia e non dice granchè nemmeno al Mezzogiorno del Paese, di cui resta pur sempre la città più rappresentativa.
Le bestemmie comparse sui manifesti mentre nel Duomo si scioglieva il sangue di San Gennaro forse,
chissà, intendevano richiamare quelle mentali o sussurrate a mezza bocca da molti cittadini napoletani ripensando a questo decennio di “rivoluzione arancione”. Rivoluzione di cui, per inciso, non si è accorto quasi nessuno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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