La natura può uccidere, ma proviamo ad amarla

Costruire case antisismiche è sicuramente indispensabile, come dimostra l'esperienza dei paesi che coi terremoti ci convivono. Ma il non farlo non è solo questione di malaffare politico, tanto meno mancanza di fondi. È soprattutto mancanza di umiltà

La natura può uccidere, ma proviamo ad amarla

L' uomo non è più forte della natura, che può distruggerlo in pochi istanti. L'insegnamento diffuso di questo elementare dato di realtà è l'azione migliore e più efficace per prevenire una parte importante delle conseguenze delle catastrofi naturali.

Costruire case antisismiche è sicuramente indispensabile, come dimostra l'esperienza dei paesi che coi terremoti ci convivono. Ma il non farlo non è solo questione di malaffare politico, tanto meno mancanza di fondi. È soprattutto mancanza di umiltà. Molto aiutata da un aspetto di vanità dell'uomo moderno. Quella che si è consolidata attorno al mito, vecchio ormai di più di un secolo, della morte della natura. Legata a quell'altra credenza tardo ottocentesca della morte di Dio. E alla presentazione trionfalistica e aggressiva dei progressi della scienza e della tecnica, continuamente proposti come prova della quasi onnipotenza su cui l'uomo moderno e «illuminato» può contare essendo ormai padrone della vita e del mondo. Sciocchezze, anche se a volte patrocinate da, appunto, luminari del pensiero. Che però danneggiano la capacità dell'uomo di adeguarsi all'effettivo potere della natura. L'uomo per essere più sicuro può solo studiare con attenzione le forze presenti nella natura e cooperare con esse, come fanno le tecniche di edificazione antisismica. Contrariamente a quanto suggerisce di fare il mito moderno della morte della natura, l'uomo deve soprattutto stare attento a riconoscere e rispettare i territori delle forze primordiali: le terre e i loro movimenti, gli ambienti delle acque e quelli dell'aria.

Fare questo con efficacia, al di fuori delle giaculatorie di un ecologismo di pronto consumo, richiede però un cambio di paradigma. Si tratta di recuperare il senso, anche religioso del sacrificio, parola che viene da sacrum facere, rendo sacro, apprezzo il valore trascendente del limite in cui l'uomo si trova rispetto alla natura, e a quello mi tengo. Non c'entra nulla la questione della «natura cattiva e malvagia» di cui si lamentavano gli illuminati.

La lotta di potere con la natura deve finire perché tanto è perdente. Le dobbiamo rispetto non per retorica moralista, ma per presa d'atto della realtà. Dopo la sbornia scientista abbiamo capito che la dobbiamo amare altrimenti moriamo, perché anche noi siamo parte della natura. Altro che dominarla ed esserne i padroni: le apparteniamo. È anzi venuto il momento di riconoscere che anche scienza e tecnologia è meglio accettino di collaborare con essa. Come incomincia a fare la medicina riconoscendo che per contrastare le infezioni non possiamo decapitarle tutte ad antibiotici, ma ci conviene anche utilizzarle in dosi basse, per rafforzare l'organismo. O riconoscono le neuroscienze quando si accorgono che dove le tecnologie si sostituiscono all'uomo, egli perde abilità indispensabili.

Scienza, tecnologie, e politica, devono dunque mettersi al servizio della natura. A cominciare, certo, dalle case antisismiche. Con umiltà. Non perché siamo diventati sapienti, o Santi. Semplicemente perché ci è sbollita la vanagloria boriosa dei filosofi «illuminati» e di quanto è accaduto dopo.

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