Angelo Allegri
Per gli uomini del Cremlino Alexey Navalny si sta trasformando in un incubo. L'attivista arrestato pochi giorni fa, appena arrivato all'aeroporto di Mosca, aveva invitato gli oppositori a scendere in piazza sabato. Vladimir Putin e i suoi dimostrano di temere la minaccia.
La procura generale della Federazione russa ha chiesto all'agenzia statale che controlla le telecomunicazioni (Roskomnadzor) di spegnere i siti internet che appoggeranno la protesta. La stessa agenzia ha intimato alle principali piattaforme social, da Twitter a Instagram, fino a VKontakte (l'equivalente russo di Facebook) di cancellare i post sul tema, minacciando salate multe in caso di messaggi rivolti ai minori. Non solo: ieri sono state arrestate due tra le più conosciute collaboratrici di Navalny: la portavoce Kira Yarmysh e l'avvocatessa Lyubov Sobol. L'accusa sarebbe quella di aver promosso «manifestazioni illegali». Un altro avvocato del Fondo anti-Corruzione di Navalny, bielorusso, è stato invitato a lasciare il Paese, e gli è stato proibito di rientrare prima del 2023.
A fare paura è evidentemente l'attenzione suscitata dall'ormai detenuto Navalny, e testimoniata dai numeri raccolti in Rete. La sua spettacolare inchiesta, realizzata appena prima dell'arresto, sul palazzo da mille e una notte di Putin e sul suo patrimonio segreto, ha avuto in pochi giorni 45 milioni di visualizzazioni su Youtube. I video con ragazzini che si preparano per andare alla manifestazione di sabato e che rimuovono la foto di Putin dalla loro classe, sostituendola con quella di Navalny, pubblicati su TikTok con l'hashtag «Navalny libero» o «23 gennaio» sono stati visti da più di 50 milioni di persone.
Per Putin è la situazione peggiore che si potesse immaginare. Da tempo il Cremlino ha messo la museruola a canali tv e giornali principali, controllati da enti statali o da gruppi finanziari legati al potere. Resta un punto debole: internet, strumento che Navalny dimostra di saper usare benissimo e che è stato fondamentale per organizzare le recenti proteste in Bielorussia e in Kirghizistan, repubblica ex sovietica dell'Asia centrale.
È questa la vera paura dell'attuale classe dirigente, resa esplicita dal vice ministro dell'Interno, Aleksandr Gorovoi. In una riunione ministeriale ha detto che dietro le manifestazioni di sabato potrebbe esserci un tentativo di destabilizzare la Russia, come è accaduto nei due Paesi vicini: «Utilizzando l'esempio di tecnologie politiche rodate in Bielorussia e Kirghizistan, non possiamo escludere la possibilità di una simile evoluzione anche da noi».
Ad aumentare il senso di accerchiamento del Cremlino è arrivata ieri anche la risoluzione del Parlamento europeo che ha chiesto il rilascio «immediato e incondizionato» di
Navalny (la stessa richiesta ha ribadito la Merkel) e che ha invitato i Paesi membri a «inasprire» le misure verso la Russia. A partire da sanzioni contro chi ha partecipato alla decisione di arrestare l'oppositore di Putin.
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