Navette cinesi nella tratta degli schiavi

Sgominata una banda sulla rotta balcanica: i clandestini entravano dalla Slovenia

Navette cinesi nella tratta degli schiavi
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Operazione «navette cinesi» per il traffico di migranti illegali lungo la rotta balcanica utilizzati in Italia come moderni schiavi in laboratori, sartorie e centri di massaggi. I clandestini arrivavano comodamente in aereo a Belgrado, dove i cinesi non hanno bisogno del visto e poi in macchina attraverso Bosnia-Erzegovina, Croazia e Slovenia venivano portati in Italia.

«Fantasmi, reclusi per qualche anno, che poi tornano in Cina, una specie di schiavitù a tempo» spiega il sostituto procuratore Federico Frezza, della Direzione distrettuale antimafia di Trieste. La polizia di frontiera del capoluogo giuliano ha sgominato la banda di trafficanti arrestando nove cinesi, compreso il capo dell'organizzazione, ma i nomi non sono stati resi noti.

L'indagine è partita da un cittadino cinese intercettato in aprile nella fascia confinaria del Carso triestino, che stava trasportando 4 connazionali irregolari dalla Slovenia.

Gli investigatori hanno scoperto che il flusso dei migranti cinesi lungo la rotta balcanica era continuo. In 15 giorni di sorveglianza, con telecamere nascoste, è stato filmato l'arrivo di 77 clandestini. I trafficanti utilizzavano una chat criptata cinese, nella loro lingua, difficile da intercettare. I migranti illegali partivano dalla Cina e arrivavano ad Istanbul in aereo. Poi prendevano il volo per Belgrado atterrando in Serbia, dove i cinesi possono restare 30 giorni senza avere bisogno del visto.

I favoreggiatori della rete li andavano a prendere con macchine costose, che non davano nell'occhio come possibili mezzi di trasporto dei clandestini. La tratta lungo la rotta balcanica avveniva in piccoli gruppi ed i clandestini, come si vede nei filmati delle telecamere nascoste, erano ben vestiti con pochi bagagli e non facevano pensare ad un traffico di esseri umani.

Nel nostro paese entravano dalla Slovenia con le «navette cinesi» dai valichi secondari non controllati e «una volta in Italia, venivano prelevati da connazionali che li trasportavano in auto presso un punto di smistamento» riporta un comunicato della Direzione distrettuale antimafia presso il tribunale di Trieste.

Un casolare, a Cazzago di Pianiga in provincia di Venezia, con una trentina di letti a disposizione, era la «casa sicura», dove i clandestini sostavano per uno o due giorni. Poi venivano prelevati da altri autisti per il trasferimento alla destinazione finale a Venezia, Milano e Prato, ma talvolta pure in Francia o Spagna.

I clandestini erano utilizzati in attività cinesi, dalla sartoria ai centri massaggi, come moderni schiavi. «Il primo anno lavoravano gratis per rimborsare ai trafficanti il prezzo della tratta - spiegano dalla Questura di Trieste - Per altri tre anni erano sottopagati e non potevano uscire liberamente essendo senza documenti. Poi tornavano in Cina». I passaporti venivano subito sequestrati nella «casa sicura», dove gli investigatori hanno filmato scambi di mazzette di banconote fra i trafficanti. I documenti rispediti in Cina servivano a far arrivare altri clandestini.

Un giro vizioso e continuo che oltre agli arresti ha portato al sequestro di 10mila euro in contanti, 22 carte di credito di pagamento di circuiti internazionali e istituti bancari cinesi, 86 passaporti e carte d'identità, compresi 54 contraffatti.

Tutti intestati a cinesi, recita il comunicato, «che venivano verosimilmente utilizzati per trasferire «in sicurezza», nelle città italiane di destinazione o in Paesi esteri» gli illegali. Il parco macchine della banda, pure finito sotto sequestro, era composto da 18 veicoli di grossa cilindrata, utilizzati come navette del traffico di cinesi lungo la rotta balcanica.

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