Per strappare la toga dalle spalle di Luca Palamara alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura bastano due ore e mezza. Davanti avevano uno di loro, un collega di cui fino poco più di un anno fa erano ammiratori deferenti o solidi colleghi di spartizione. Sapevano perfettamente che le colpe attribuite a Palamara erano e sono le colpe di tutta la magistratura organizzata, di tutte le correnti. Ma sapevano anche che se fossero stati clementi con l'accusato, se gli avessero consentito di continuare a fare il magistrato anche nella procura più sperduta, sarebbero stati accusati di essere suoi conniventi. Così, prima ancora che fosse ora di pranzo, il destino di Palamara si è compiuto: «destituito dall'ordine giudiziario», ovvero radiato a vita. Viene accolta in pieno la richiesta di pena esemplare avanzata giovedì dalla Procura generale della Cassazione, al termine di un processo lampo senza istruttoria né testimoni.
A pronunciare la requisitoria dell'altro ieri è stato Pietro Gaeta, procuratore generale della Cassazione. Ma attraverso di lui parlavano le correnti organizzate della magistratura, quelle che nei mesi scorsi hanno chiesto a gran voce la testa di Palamara, che dell'Anm, la loro associazione, era stato il presidente. Poco importava che strada facendo le accuse più gravi si fossero sfilacciate e perse per strada, i presunti favori, le ipotesi di corruzione, e che ala fine a Perugia Palamara verrà processato solo per un paio di viaggi in albergo. Poco conta che nella requisitoria della Procura generale sia passato in secondo piano, con la sordina, il capo d'accusa sventolato per settimane contro Palamara, ovvero il presunto complotto ai danni del procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo. E ancor meno conta che alla fine a portare alla condanna di Palamara sia stata una cena in cui si discuteva di nomine, tramando per una nomina poi non andata in porto. È lì, nella cena all'Hotel Champagne con Cosimo Ferri e Luca Lotti, che Palamara avrebbe tradito in modo imperdonabile il giuramento di fedeltà alla toga. Per questo gli viene inflitta una sanzione che è stata risparmiata in passato a maniaci sessuali, assenteisti cronici, stalker: tutti lasciati a amministrare la giustizia.
La decisione del Csm è definitiva e immediatamente operativa. Palamara, che era già sospeso dalla funzione e dallo stipendio, da oggi è ufficialmente fuori. Potrà ricorrere in Cassazione e a Strasburgo: i tempi sono lunghi nel primo caso, biblici nel secondo. Nel frattempo il rito si è compiuto. Il licenziamento in tronco di Palamara finisce sulle prime pagine e oscura tutto il resto che è emerso in questi mesi dalle carte dell'inchiesta su di lui, le tonnellate di chat, i cortei dei postulanti che bussavano alla sua porta, la cinica spartizione delle poltrone e delle poltroncine in cui mai una volta, nemmeno per sbaglio, si citava la bravura tra i criteri di scelta. Svanisce l'eco dei complotti per fregare questo o quello, degli insulti sprezzanti tra colleghi. Le centinaia di magistrati miracolati dal sistema resteranno ai loro posti. E anche gli ottantaquattro capi di uffici giudiziari nominati dal Csm negli ultimi anni grazie ai voti degli uomini di Palamara possono tornare a dormire sogni tranquilli.
Certo, la Procura generale della Cassazione ha annunciato l'apertura di una istruttoria disciplinare anche per i beneficiati dall'ex presidente dell'Anm, ma toccherà solo i casi eclatanti e si concluderà, mal che vada, con un rimbrotto.Il caso Palamara è chiuso. Intanto, all'interno del Csm si prepara un'altra infornata di nomine, esattamente con lo stesso metodo.
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