L'incubo Cesa (il leader dell'Udc indagato in un'inchiesta della Procura di Reggio Calabria) piomba al Nazareno. I magistrati romani iscrivono nel registro degli indagati per abuso d'ufficio il segretario nazionale del Pd Nicola Zingaretti. Con il leader dei dem è coinvolto anche l'assessore alla Sanità della Regione Lazio Alessio D'Amato. L'inchiesta è relativa ad alcune nomine di dirigenti Asl. Il procedimento nasce da un esposto presentato nei mesi scorsi da Fratelli d'Italia e in cui si chiede di indagare su una nomina in una Asl di un candidato che non avrebbe avuto i requisiti per accedervi. L'indagine irrompe in casa del Pd nel pieno delle trattative per uscire dalla crisi di governo.
Al Nazareno il fronte sul lodo Bettini (Conte o voto) non è più granitico. Si sta aprendo un varco nel quale si fa largo la mozione Ursula. Dopo l'addio di Italia viva alla maggioranza giallorossa, il Pd ha avallato la strategia del presidente del Consiglio Giuseppe Conte: sostituire i renziani con i costruttori. Ma l'operazione voltagabbana (convincere i parlamentari del centrodestra a cambiare schieramento) si sta rivelando un flop. Ecco allora, che nel Pd la linea del segretario Zingaretti comincia a vacillare. Con una nuova offerta: alleanza Ursula, da Renzi a Forza Italia. Ipotizzando anche un cambio a Palazzo Chigi. Un'operazione alla quale lavorano i sindaci dem Beppe Sala (Milano), Giorgio Gori (Bergamo), Dario Nardella (Firenze) e il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Lo schema punta alla riapertura del dialogo con Matteo Renzi. L'obiettivo finale è una proposta politica che allarghi il campo fino agli azzurri. Riproducendo lo schema, dai socialisti europei ai popolari, che in Ue ha portato all'elezione di Ursula von der Leyen alla guida della commissione. Sull'opzione Ursula i senatori Pd Gianni Pittella, Dario Stefano, Tommaso Nannicini e Francesco Verducci, escono allo scoperto per smarcarsi dalla linea del Nazareno. «Nessun ammiccamento alle elezioni. Il Pd rilanci le ragioni di un esecutivo all'altezza, parlando con tutti», chiedono i quattro. Sulla stessa linea il parlamentare dem Enrico Borghi: «La soluzione della crisi politica sta nella capacità di trasformare questa maggioranza numerica in dimensione politica. Non si capisce per quale motivo a Strasburgo le forze politiche europeiste che sostengono l'esperienza della Commissione von der Leyen, e che hanno ottenuto la storica risposta del Recovery fund, in Italia poi si frammentano e si contrappongono». C'è il sospetto - nessuna conferma - che la nota dei quattro non sia stata ostacolata dal capogruppo del Senato Andrea Marcucci che però pubblicamente finge di accodarsi alla linea dei vertici: «Tutto il gruppo dirigente del Pd è consapevole che il ricorso alle elezioni anticipate non sia in alcun modo opportuno ma vista la situazione è un rischio che non si può escludere». Chi ci sta pensando seriamente (in silenzio) allo schema Ursula è il ministro della Cultura Dario Franceschini. Il capo della delegazione dem al governo finora ha sposato la linea Bettini-Zingaretti: Conte o elezioni. Ma teme lo zampino di Massimo D'Alema dietro l'operazione. E quindi sta iniziando a smarcarsi.
Avendo le carte in regola per ambire alla poltrona di premier in una coalizione allargata fino ai moderati di centrodestra. Michele Brodo resta fedele alla linea del Nazareno: «Se questa esperienza finisce il rischio del voto è oggettivo». Tutte le opzioni sono sul tavolo di Zingaretti.
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