Nessuno crede più al teatrino del dissenso

Hanno le dimissioni sempre pronte nella fondina ma non le estraggono mai, dettano condizioni irremovibili che poi si rivelano a rotelle come i banchi di Arcuri

Nessuno crede più al teatrino del dissenso

Hanno le dimissioni sempre pronte nella fondina ma non le estraggono mai, dettano condizioni irremovibili che poi si rivelano a rotelle come i banchi di Arcuri, vivono di principi che ritengono inderogabili fino al giorno prima di derogarli. Anche ieri la rivolta della corrente «duri e puri» dei Cinque stelle è stata rinviata per impraticabilità del campo. Si dirà che una dialettica interna esiste in tutti i partiti ed è considerata cosa sana. Anche in questo però, il M5s è diverso. A differenza di quanto succede nei partiti tradizionali, nei Cinque stelle non sono previste valvole di sfogo per il dissenso interno. Una minoranza non avrebbe strade legali di scalare il partito conquistando consenso. E i parlamentari, anche se con il tempo sono riusciti a farsi allentare un po' il guinzaglio, nelle dinamiche interne sono figure dallo status incerto. In origine, dovevano essere semplici portavoce, attivisti che prestavano la loro persona fisica, con il rigoroso limite dei due mandati, per adattare temporaneamente il Movimento alle logiche parlamentari. Ma solo per il tempo necessario ad aprire il Parlamento «come una scatoletta di tonno». Non bisogna dimenticare che il fine ultimo dell'utopia grillo-casaleggiana era abolire i leader, demandando tutto il potere al popolo che lo avrebbe esercitato attraverso forme di democrazia diretta. Ecco perché per il M5s, la spaccatura con Casaleggio e la possibile «secessione di Rousseau» sono molto più dirompenti dell'eventuale secessione di un'ala più radicale delle altre. Può darsi che alla fine Alessandro Di Battista decida davvero di tentare una propria strada politica lontano dal Movimento, ma fin qui il suo ruolo, come quello della sua corrente, è rientrato in quello straordinario progetto di marketing che Nicola Biondo e Marco Canestrari hanno raccontato nei loro libri da insider. I 5 Stelle inseguono fin dalle origini un posizionamento al centro cercando allo stesso tempo di fornire al loro elettorato un'offerta politico-ideologica diversificata. Anche la Dc al suo interno aveva tante correnti, i cui componenti però manovravano tessere, clientele, elettori, territori. Potere, detto in una sola parola. Le correnti dei 5 Stelle sono invece declinazioni di un'unica offerta di marketing che permette a elettori con tendenze politiche diverse, a volte opposte, di sentirsi comunque rappresentati. Ma la rappresentanza poi, si riduce sempre e solo a rappresentazione. Un teatrino che si risolve sempre e comunque con un intervento dall'alto che detta la linea. Malumori, spaccature, dubbi e ultimatum non hanno mai conseguenze reali.

Perfino le espulsioni spesso restano teoriche: i dissidenti alla bisogna vengono richiamati e votano come vuole la leadership. Un teatrino che non può durare all'infinito come sa bene lo stesso Beppe Grillo, che parla di «occasione unica». Come per Dibba e i suoi. Se non ora, quando?

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