Netanyahu, i sunniti e l'asse Cia-Mossad per colpire Teheran e avvisare Mosca

L'attacco di ieri è un messaggio al regime iraniano: stop allo sviluppo del nucleare e al sostegno a Putin. Il ruolo delle monarchie anti-sciite e del nuovo governo israeliano. L'incontro segreto tra i capi delle intelligence

Netanyahu, i sunniti e l'asse Cia-Mossad per colpire Teheran e avvisare Mosca

Chi di drone colpisce, di drone perisce. Senza bisogno di conoscere nel dettaglio gli autori del blitz di Isfahan (perfino elementi locali potrebbero aver agito nel quadro di un'escalation della ribellione contro il regime assassino degli ayatollah), è un fatto che ci sono diversi messaggi dietro l'attacco che l'altra notte ha devastato un centro di produzione di armi iraniano, certamente sintetizzabili nello slogan con cui apriamo l'articolo. Il primo, di ordine generale, è che né gli Stati Uniti né i loro alleati mediorientali (Israele in primis, ma anche una serie di Paesi sunniti che l'ascia di guerra con i «sionisti» l'hanno sepolta da un pezzo) sono disposti a lasciar proseguire indisturbata la Repubblica islamica nella sua corsa verso il riempimento degli arsenali con mezzi di distruzione sempre più pericolosi; il secondo riguarda il ruolo di Teheran nella guerra di aggressione russa all'Ucraina: continuate a rifornire Mosca di droni e missili per la sua guerra criminale e sarete colpiti anche voi; il terzo è un'allusione, non difficile da cogliere ora che Benjamin Netanyahu è tornato alla guida del governo israeliano: il vostro programma nucleare è già nel nostro mirino.

C'è anche, naturalmente, un quarto elemento. A nessuno è sfuggita la coincidenza temporale tra l'attacco sulla base di Isfahan e la presenza in questi giorni in Israele e in altri Paesi della regione di inviati della Casa Bianca, fra i quali il direttore della Cia William Burns, oltre al fatto che appena una settimana fa israeliani e americani avevano condotto manovre militari congiunte nel Mediterraneo. Cia e Mossad potrebbero aver agito insieme? È possibile, e il consueto intrico di smentite e controsmentite non aiuterà certo a far luce sull'identità di chi ha colpito.

Una cosa è certa: è in atto ormai da anni una guerra non dichiarata da parte di Israele e di diverse monarchie sunnite, con sostegno americano di difficile qualificazione, nei confronti dell'Iran. Bersagli prioritari sono stati gli scienziati che lavorano al programma atomico di Teheran, tra i quali il numero uno Mohsen Farkizadeh. Ma non si può dimenticare la spettacolare eliminazione, tre anni fa a Baghdad ad opera degli americani, del generale iraniano più importante in assoluto, Mohammad Suleimani, né l'attacco verosimilmente israeliano all'impianto nucleare di Natanz nell'aprile 2021.

Ma la guerra segreta all'Iran è ormai un capitolo di un conflitto più ampio che sempre più chiaramente vede schierata contro l'odiato Occidente (Israele incluso) un'articolata alleanza di regimi autoritari e guerrafondai. La guerra feroce all'Ucraina non viene condotta solo dalla Russia di Putin: vi partecipano a vario titolo dittature vicine a Mosca come la Bielorussia di Aleksandr Lukashenko e la Corea del Nord di Kim Jong-un, mentre il cinese Xi Jinping preferisce muoversi con cautela (anche se sembra che abbia fatto avere ai macellai del Gruppo Wagner immagini satellitari utili per i loro attacchi nel Donbass). Ma l'alleato più concretamente prezioso per Putin è proprio l'Iran, che da mesi rifornisce gli arsenali russi depauperati da un impiego senza risparmio di riserve pur abbondantissime di indispensabili missili e droni. Non a caso tra le reazioni più tempestive all'attacco su Isfahan si è registrata quella della dirigenza ucraina, che saluta la «notte esplosiva» e il «costo pesante inflitto ad autori e complici» dell'aggressione al loro Paese.

Difficile meravigliarsi se fosse confermato che nell'impianto devastato a Isfahan si producevano missili

destinati alla Russia: i colpi che l'agenzia ufficiale del regime iraniano ha sfacciatamente definito «vigliacchi» sarebbero serviti a evitarne altri ben più vigliacchi diretti contro un Paese aggredito dai suoi alleati.

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