Nella guerra dei rimborsi, spariscono le ricevute. E senza di quelle, sarà difficile distinguere i parlamentari grillini che hanno rispettato alla lettera la regola delle restituzioni dai «furbetti dello scontrino». Al cuore dello scandalo che sta demolendo la credibilità del Movimento, non c’è soltanto lo stratagemma di disporre e annullare i bonifici. A essere in dubbio è la stessa affidabilità dei resoconti pubblicati su internet da deputati e senatori 5 Stelle. Mattia Fantinati, eletto a Montecitorio nel 2013, ha ammesso di aver inserito alla voce vitto delle proprie rendicontazioni spese che nulla hanno a che vedere con cibo e bevande. Secondo i dati riportati sul portale www.maquantospendi.it, curato dall’ex dipendente della Casaleggio associati Marco Canestrari, Fantinati avrebbe speso 46mila euro in pranzi e cene. In un’intervista pubblicata sul Corriere di ieri, l’onorevole ha spiegato che parte del denaro contabilizzato alla voce vitto è servito «per alcune consulenze con professionisti». Un’azione compiuta per «comodità e leggerezza», che getta però nuove ombre sul comportamento tenuto dai pentastellati durante l’ultima legislatura. La regola aurea del Movimento è devolvere al fondo per il microcredito alle imprese la metà dello stipendio e i rimborsi non utilizzati. I parlamentari, infatti, non vivono di solo salario. All’indennità di circa 5mila euro mensili, bisogna sommare tutte le spese legate all’esercizio del mandato. Dalla rinuncia a poco più duemila euro di indennità non si scappa. Sul resto, il discorso è più complicato. E sono le spese variabili sostenute da ciascuno a lasciare perplessi. A calcolare le eccedenze è il parlamentare stesso, elencando gli esborsi e facendo le opportune addizioni. L’unico modo per conoscere quanto denaro se n’è andato per cibarie, trasporti e quant’altro sarebbe controllare le ricevute. Che a oggi molti grillini non hanno pubblicato. In assenza di prove, fanno fede le rendicontazioni depositate da ciascuno. Che, sempre secondo il sito maquantospendi, comprendono i 108mila euro dell’alloggio romano di Marta Grande, deputata di Civitavecchia, e i 215mila euro versati ai collaboratori dal senatore Roberto Cotti. Oltre ai 7.500 euro spesi da Luigi Di Maio in cancelleria. Soltanto per citare i casi più noti. «Nessuno potrà mai verificare se quanto speso è vero o falso, e nessuno è mai venuto a chiedere le pezze giustificative per le spese», dice al Giornale una fonte vicina al Movimento, che preferisce rimanere anonima. Che aggiunge: «Hanno sempre dichiarato che a loro serviva molto meno denaro per fare politica, e nei fatti questo non è vero».
E come ha scritto su Lettera43 l’ex attivista e collaboratore parlamentare Lorenzo Andraghetti «tutti sanno che con 20 euro di abbonamento mensile si hanno minuti illimitati di telefonate. Chi supera questa cifra è probabile che stia gonfiando le spese».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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