"Non le ridarò al padre". Soffoca le due figlie e poi si butta nell'Adige

Il cadavere della donna ritrovato nel fiume. Autopsia sulle bimbe, uccise per vendetta

"Non le ridarò al padre". Soffoca le due figlie e poi si butta nell'Adige

Otto lettere devono farci da guida in questo dramma indescrivibile: sono le otto lettere che formano la parola «rispetto». Bisogna ripeterla spesso questa parola, se non si vuole correre il rischio di non prendere sonno per il rimorso.

Partiamo dal peggiore degli incubi: una mamma che, dopo aver soffocato le figlie di 3 e 11 anni, si uccide buttandosi nell'Adige. Una tragedia sulla cui dinamica non ci sono «dubbi», «gialli», «misteri» e tutto lo squallido armamentario delle frasi fatte che accompagna le storie di cronaca nera. L'uccisione delle bambine risale a 48 ore fa ed è avvenuta a Verona in una di quelle case di accoglienza che servono a proteggere mamme e figlie da mariti e padri violenti. O presunti tali. O, addirittura, dichiarati innocenti dopo essere stati ingiustamente accusati. Proprio come nel caso dell'uomo dal quale la 34enne bengalese, il cui cadavere è stato trovato ieri nel fiume, era fuggita trovando riparo nella struttura di Porto San Pancrazio gestita dai servizi sociali del Comune. Con sé, Sachithra Mahawaduge, aveva portato le sue due bimbe. Lei era senza lavoro, loro frequentavano regolarmente la scuola.

Non si può dire che fossero felici, ma in quel piccolo appartamento dove avevano trovato ospitalità si sentivano al sicuro. Ma «al sicuro» da chi e da cosa? Sachithra, due anni fa, aveva denunciato il marito, anche lui bengalese, del reato più infame che possa pendere sulla testa di un padre: abusi sessuali sulla figlia.

Gli inquirenti - com'è giusto in situazioni così gravi - fanno scattare il «piano rosso» di tutela: madre e figlie trasferite in un luogo sicuro sotto il controllo dei Servizi sociali e indagini sul padre per accertare le sue, eventuali, responsabilità.

Passano i mesi, ma neanche tanti per indagini così delicate. Al termine dell'istruttoria è lo stesso pm a chiedere l'archiviazione del caso: quelle accuse contro l'uomo sono «totalmente infondate». La decisione risale a pochi giorni fa e avrebbe avuto come conseguenza la possibilità da parte del padre di tornare legittimamente a vedere le figlie dopo che, dall'inizio delle indagini, questo diritto gli era stato comprensibilmente negato dalla Procura. Nessun «padre stupratore di figlie», quindi. E nessun padre «con problemi di tossicodipendenza», come erroneamente detto ieri dai media. «Rispetto» dunque per un uomo dipinto colpevolmente come un mostro e che è invece vittima di un destino crudele: quello di ritrovarsi, improvvisamente, con due figlie ammazzate e una moglie suicida.

E ora veniamo al «rispetto» per l'altra vittima della catastrofe: una mamma la cui angoscia dell'anima è arrivata al punto di togliere la vita alle due creature che amava al di sopra di ogni cosa al mondo.

Infine il «rispetto» più grande: quello per due sorelline che non potranno più baciarsi, cercarsi, confidarsi l'una con l'altra. Loro, davvero, non avevano nessuna colpa.

«Rispetto» per i morti vuole che non si riferiscano voci non controllate. Ma quando queste «voci» sono verificate e attendibili, assurgono al rango di notizie, e renderle pubbliche diviene un preciso dovere giornalistico. Ed è ciò che ha fatto ieri il sito del quotidiano-simbolo di Verona, «L'Arena», riportando una frase di Sachithra, prima che un velo nero ne appannasse cuore e cervello: «Le ammazzo e mi ammazzo piuttosto che darle al loro papà».

Parole terribili che sarebbero state ripetute - è sempre «L'Arena» che lo evidenzia - «in più occasioni, anche al termine di colloqui con medici che la testavano per stabilire la sua capacità genitoriale».

E allora, ecco la maledetta domanda: la tragedia poteva essere evitata? Ma è una domanda che non dovremmo mai porci. Per «rispetto».

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