Ed è arrivato anche il giorno in cui il numero di morti di Covid supera quello dei decessi per polmonite e sindromi influenzali degli scorsi anni. In poco più di un mese il virus ha fatto più vittime delle 11mila registrate nel 2018-19 per complicazioni alle vie respiratorie. Ed ha superato anche l'annus horribilis, il 2017-18, quando le vittime erano state 13.470, con un ritmo di 1.122 morti al mese.
Era stata proprio quella cifra a tratte in inganno molti all'inizio dell'epidemia. I virologi erano reduci da due anni tremendi, in cui avevano diagnosticato un numero abnorme di polmoniti e avevano registrato la morte di migliaia di persone. Un anno in cui le terapie intensive erano state al completo per molte settimane ma in cui i decessi erano passati sotto silenzio, come un effetto collaterale un po' più forte del solito delle sindromi influenzali. Stop.
Per questo la direttrice del laboratorio di microbiologia dell'ospedale Sacco Maria Rita Gismondo alla fine di febbraio aveva dichiarato: «È poco più di un'influenza». Ma quando lo disse era ancora, solo, la prima settimana dell'emergenza Covid e i numeri erano assolutamente contenuti, imparagonabili. Poi è scoppiato il caos e ci siamo resi conto che quei 1.122 morti per polmonite al mese registrati nel 2017 il Covid li fa in un paio di giorni.
«Ho fatta quell'affermazione - spiega la virologa - sulla base dei dati iniziali. Eravamo a quattro giorni dal caso uno. Ovviamente adesso i numeri ci dicono un'altra cosa. Tuttavia le domande senza risposta restano ancora parecchie. Uno studio dell'Istituto superiore della sanità, effettuato su 355 cartelle cliniche, dice che solo 3 pazienti morti di Covid non avevano altre patologie. La metà dei casi analizzati ne presentava in media tre. Ne deduciamo che è un virus opportunista, come ha detto la stessa Ilaria Capua, e un acceleratore incredibile delle patologie già presenti nel paziente».
«Non voglio sminuire la gravità del virus - spiega la Gismondo - è assolutamente da temere e bisogna limitare il più possibile la sua diffusione. Ma non è un virus da patogenicità diretta. Insomma, se compare da solo, nel 97% dei casi non è letale». Dopo l'allarme polmoniti degli anni scorsi, paradossalmente quest'ultima stagione influenzale era cominciata piuttosto bene e i valori dei casi gravi e dei contagi erano nettamente inferiori alla media, con 300-400 morti. Starà poi all'Iss stilare la lista ufficiale delle polmoniti di quest'anno non riconducibili al coronavirus.
Tuttavia ci sono alcuni misteri che ancora non hanno una risposta certa ma la troveranno nei prossimi mesi, quando ci sarà il tempo di analizzare i dati a bocce ferme. Già l'anno infatti scorso il 50% delle polmoniti non veniva nemmeno diagnosticata, quindi non se ne conosceva la vera origine. «Quello che però avevamo notato in laboratorio - spiega la Gismondo - erano alcune polmoniti atipiche, tante. Più aggressive». E probabilmente una forma di Covid o simil Covid già serpeggiava nei reparti di pneumologia senza essere stata identificata e isolata.
Se probabilmente l'infezione c'era anche quando non le avevamo dato un nome, è ora sotto gli occhi di tutti la sua diversità rispetto alle altri polmoniti: per contagiosità, per numero delle vittime, per tempi in cui degenera (brevissimi) e il cui passa (tre-quattro settimane contro le due di un'altra polmonite). «E poi - conclude la Gismondo - a livello radiologico non può essere confusa con nessun'altra polmonite».
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