Era entrata quasi di «diritto» nel novero dei mostri. Provocante, sfrontata, irriverente di certo antipatica. Altrettanto censurabile. Non fosse altro per i selfie in cui si ritraeva sghignazzante accanto a una sua anziana paziente appena morta.
Un macabro luccichio negli occhi, un sorriso beffardo anche quel 9 ottobre 2014, giorno in cui l'arrestarono con accusa di essere un'assassina seriale.Secondo la Procura aveva ucciso decine di degenti terminali. Rubando persino soldi e preziosi a malati ormai inermi. Un malvagio «angelo» della morte, insomma. E una ladra. Lei è Daniela Poggiali, oggi 46 anni, all'epoca infermiera dell'ospedale «Umberto I» di Lugo, nel Ravennate. Nel marzo 2016 si vide appioppare l'ergastolo. Ma in aula non si erano riuscite a dimostrare altre morti se non quella di una settantottenne, Rosa Calderoni, secondo l'accusa, uccisa con un'iniezione di cloruro di potassio. Una sostanza utilizzata nelle flebo, in quantità ridottissime. Un poco di più e diventa letale. Poi nel giro di qualche giorno, nemmeno un esame autoptico, ne rinviene traccia. Gli investigatori ipotizzarono che la Poggiali, tra il 2012 e il '14, avesse fatto fuori in questo modo «silenzioso» addirittura una novantina di malati. Sospetti, evidentemente, senza prove. E ieri il colpo di scena: i giudici della corte d'appello di Bologna, l'hanno assolta. Ribaltando la sentenza di primo grado «perché il fatto non sussiste».
Era presente in aula Daniela, meno altezzosa del solito. E alla fine quasi in lacrime. Stavolta di felicità. «Sì, sì», ha urlato. Si era sempre proclamata innocente, del resto. Solo un'ammissione aveva fatto, a proposito di quelle foto oscene: «Lì ho sbagliato, lo ammetto- disse a giudizio-. Però devo dire un paio di cose: l'iniziativa non è stata mia ma di una collega che le ha scattate. E poi mai avrei immaginato che girassero... Era un cosa privata tra me e lei. Comunque un errore».
«Daniela è stata vittima di una serie di pregiudizi che riguardavano alcuni tratti della sua personalità complessi e obiettivamente controversi». Aspetti che però «non avrebbero dovuto legittimare questo contagio collettivo che ha indotto a rinvenire in lei un soggetto potenzialmente criminogeno», commenta adesso, quasi con tono di rimprovero, il suo avvocato Lorenzo Valgimigli.
I togati, prosciogliendola, hanno disposto anche l'immediata liberazione della bionda infermiera.«Probabilmente - osserva ancora il legale - questi ribaltamenti processuali sono espressione di un fenomeno culturale all'interno della giurisprudenza italiana dove ci si confronta, appunto, su opzioni culturali diverse che riguardano i diversi standard probatori che occorre conseguire per poter condannare o prosciogliere». Un giorno di gioia per imputata e difesa. Che non è detto, però, duri a lungo. La possibilità che la Procura faccia ricorso contro la sentenza è più che probabile. Nel frattempo Daniela tenterà una nuova vita. Come e dove è difficile da prevedere. Accanto, ha un compagno, che davanti ai giudici l'ha sempre protetta: «È una donna che ama il suo lavoro, sempre flessibile nell'accettare turni disagiati, come per esempio quelli notturni, una che andò a lavorare anche quando fu colpita da una brutta malattia. Quando sarà finita questa storia ci sposeremo», aveva ripetuto alla Corte Luigi Conficconi. Parole proferite un anno fa, prima della condanna. Ora si vedrà.
Ben diverso l'umore della famiglia della «non più vittima», Rosa Calderoni. «Il fatto di avere avuto due verdetti diametralmente opposti - spiega l'avvocato di parte civile - lascia un profondo senso di amarezza, incertezza su cosa sia successo. Un malessere molto difficile da metabolizzare».
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