La nostalgia per la politica e il binomio Meloni-Renzi

Si chiama vita di partito ed è l'elemento, non di poco conto, che accomuna il percorso di Giorgia Meloni a quello di Matteo Renzi

La nostalgia per la politica e il binomio Meloni-Renzi
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Si chiama vita di partito ed è l'elemento, non di poco conto, che accomuna il percorso di Giorgia Meloni a quello di Matteo Renzi. Entrambi con solide radici nella militanza politica, per quanto frutto di due storie diverse nel profondo. Entrambi con la gioventù ancorata alle mura delle sezioni, tra i volantini e l'impegno quotidiano senza troppe garanzie di futuro. Vita di partito è un'esperienza sconosciuta a Elly Schlein, con il suo profilo da occupante annoiata all'Università, e a Giuseppe Conte, leader liquido per antonomasia e pescato dal mazzo grillino per un calcolo sulla presunta «istituzionabilità». Quando la Meloni parla in Parlamento, Renzi ascolta con attenzione. Quando Renzi replica (e lo fa, a differenza della Schlein che è spesso assente), la Meloni prende appunti per controreplicare. É rispetto reciproco, che non significa «stampella» o condivisione contenutistica, ma che trova nella convinzione di riformare e svecchiare lo Stato un altro trait d'union. Riformare in due modi ben diversi ma comunque riformare. E poi, in questa Italia presa d'assalto dai sermoni ideologici degli influencer alla Ferragnez, circola eccome una sana nostalgia della politica. Quella scalabile, giocata su visioni del mondo non malleabili e sul consenso ottenuto dal basso, centimetro per centimetro. La politica vera, quella non sempre semplificabile a colpi di post. Come la Meloni a partire dai congressi del movimento giovanile, passando per le provinciali romane e così via, senza chiedere mai permesso, fino a Palazzo Chigi. Come Renzi, con l'esordio da outsider all'amministrazione fiorentina, le primarie in campo aperto contro la «ditta» dalemiana e il tutto per tutto scommesso in un referendum dal conto salato. Due simboli generazionali che hanno messo in crisi le rendite acquisite dai rispettivi colonnelli di partito. Donandosi completamente alla politica.

Nostalgia della politica è anche il motivo per cui, in fin dei conti, Renzi finisce per attirare le simpatie di tanti addetti ai lavori e non con orientamenti ideologici differenti dal suo. È una questione di statura, che comunque gli viene riconosciuta. Vedasi la difesa trasversale dagli assalti giustizialisti che l'ex premier subisce da quando ha provato a spiegare dalle sue parti che no, l'antiberlusconismo non è un valore. Renzi, ancora oggi cercato con cadenza quotidiana dai tanti parlamentari dem privati di bussola, e Meloni, che ai suoi avversari non piace e non può piacere ma che tra i banchi dell'opposizione tanta invidia suscita. «Ad avercela una Meloni», si sente dire tra gli scranni della minoranza, costretta a farsi guidare da una che si è iscritta al Pd solo qualche mese fa. «Se solo Renzi passasse nel nostro lato di campo», è uno dei mantra maggioritari tra quelli che, nella coalizione di governo, insistono da tempo nel pensare che il fiorentino sia il pezzo perfetto mancante.

Un binomio che non è alleanza e che forse mai lo sarà ma che potrebbe dialogare per uno scossone definitivo all'assetto istituzionale. Il tutto in barba a chi, come la Schlein e Conte, è comparso in politica sulla scia di storie edificate da altri.

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