Siamo andati al Corvetto dalle 22.30 alle 2.45 di giovedì notte, e c'eravamo preparati bene, ci siamo andati a bocce ferme (a cassonetti sfiammati) dopo che i pendolari spaccatutto che erano venuti anche da fuori Milano (persino da Genova, pare) si erano rinfognati a casa loro dopo che avevano usato i centri sociali del Corvetto come salotti lounge, come sale d'aspetto dove annusare l'aria prima di partire per la guerricciola urbana. Di cui, ora, non rimane quasi niente, solo spazzatura, disordine e le lenzuola appese che chiedono «verità e giustizia», ma anche scritte più elaborate, «stop gentrificazione», o altre che insultano progetti di riqualificazione giudicati truffaldini. È stata questa la prima impressione forte: il contrasto tra i murales con lo spray e quelli di «arte pubblica» legati ai tanti (tantissimi) tentativi di riqualificazione fatti negli anni. La seconda impressione forte, più tardi, sarà il silenzio paradossale della desolazione notturna mischiato a un senso di inutilità del reportage che stavamo azzardando, e che è fallito.
Eppure c'eravamo preparati bene, e ad aspettarci, separatamente, c'erano quattro ragazzini tra i 15 e i 22 anni (due italianissimi, poi un tunisino, e poi un egiziano di seconda generazione come lo era Ramy Elgaml, il 19enne schiantatosi dopo l'inseguimento dei carabinieri) e infine ci aspettava anche una specie di guida che non era una guida, era una didascalia vivente che raccontava i luoghi che avevamo chiesto di vedere. Ma non c'era notizia. Né pathos.
La guida ci ha detto che le scritte più belle le avevano cancellate: dalla recente «Fuck Olympics» (davanti alla Fondazione Prada) al geniale «Le scritte sui muri fanno abbassare gli affitti», passando da un immaginifico «A Rogoredo la polizia spara» in salsa noir anni Settanta, sino all'emblematico «Se il quartiere vuoi riqualificare, tanti poveri devi cacciare». Vero. Perché il dato più autentico del Corvetto, come di altre periferie troppo grigie o troppo colorate, è una diffusa povertà nel senso moderno del termine: ex classe media o medio/bassa divenuta neo proletariato ed esclusa dalle mura di un centro di Milano sempre più esclusivo ed escludente, come capita in tutte le metropoli al Nord del mondo.
Ad assomigliarsi non sono solo le periferie, è anche il miraggio che tutti i centro-città lasciano balenare prima di dissolversi, o prima, alla peggio, di tentare di rapinarne qualcuno.
I ragazzotti che abbiamo incontrato non sono quelli giusti: sì, hanno una fonetica stretta e nordafricana (ormai acquisita anche) ma replicano la retorica della periferia abbandonata, delle speculazioni, del campetto di calcio scassato e dell'attenzione che i media gli riservano soltanto se c'è l'incidente. Paiono bravi ragazzi come lo è la maggioranza silenziosa del Corvetto, più banalmente arresa a un povertà che non si può riqualificare. Poi sono vestiti tutti uguali, sì. Due hanno un giaccone marca Supply & Demand (attorno ai 100 euro) e o marca Blauer o Canada Goose, ma è un falso, spiegano, come le Nike Air di uno e le Dior B22 dell'altro. Bancarelle? No, un sito web che rifornisce tutte le periferie e che si chiama wearmilano.com. Anche la parola «integrazione» sembra contraffatta, qui: non esiste integrazione, esistono i soldi che te la permettono, esiste il passaporto per un'apparenza o un'appariscenza da spiare sul cellulare o in certe splendenti vie. Non è mica al Corvetto che si fanno i reati: è in centro. L'inseguimento di otto chilometri sfociato nella morte di Ramy Elgaml è partito dal centro-nord, laddove, per qualche ragione, i fuggiaschi avevano in tasca una catenina d'oro strappata, mille euro, un coltello e uno spray urticante; lì vicino, in Corso Como, i negozianti hanno assunto dei vigilantes privati anche per sedare le risse. Non sono posti dove i ragazzi del Corvetto tendano a sedersi, dati i prezzi, mentre altrove, tipo ai Navigli, i prezzi sono più abbordabili ma gli esercenti tendono a non assumere più ragazze perché molti ragazzotti, molti clienti, hanno spesso un malinteso rapporto culturale con le donne (diciamo così) e tendono a molestarle. Comunque, a Milano, il 62 per cento degli arrestati per microcriminalità è composto da immigrati: di quale generazione? Chi se ne frega. Violenza sessuale: 67 per cento. Furti: 79 per cento. Rapine: 69 per cento. Una criminalità che è la meno organizzata che esista, rimpinguata anche dall'ondata di neo-immigrati di qualche anno fa, come a Milano ammette ormai anche la sinistra pensante: immigrati ai quali no, non gliene frega niente di fare i mestieri che gli italiani non vogliono più fare. Loro vogliono, ora e subito, un biglietto per il paese dei balocchi. Baby Gang? Anche, forse: ma quelle, già più organizzate, sono roba da latinos, che beninteso, vivono in periferia.
E che, come altri gruppi «etnici» che hanno messo in pista persino le borseggiatrici, che italiane non sono di sicuro, la sera se ne tornano nelle loro sparpagliate Corvetto, laddove vivono, talvolta brigano, spesso soltanto dormono, assieme a una prevalenza di gente onesta che non ne può più. Perché è la gente normale, ormai, a doversi integrare in quello schifo che i loro quartieri sono diventati.
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