Il lockdown a colori parte azzerando il già difficile rapporto tra governo e Regioni. Il nuovo Dpcm che stabilisce le restrizioni alle libertà di movimento dei cittadini sulla base di una mappa a colori. Ma la mappa nel decreto non c'è. E fino al tardo pomeriggio di ieri, nonostante il decreto entri in vigore oggi, le Regioni non sapevano con certezza quali attività avrebbero dovuto chiudere e in quali orari non si sarebbe potuto circolare. In extremis, arriva un rinvio.
Il governo prende tempo da giorni con un solo scopo: non assumersi responsabilità. La narrazione che gli spin doctor di Conte fanno trapelare vede le Regioni sottrarsi e rimbalzare le responsabilità delle chiusure sul governo, che invece chiederebbe ai governatori di decidere in casa propria. Una mistificazione: durante la prima ondata il governo ha operato scelte locali, come chiudere Codogno e non chiudere Alzano e Nembro.
Con il sistema delle mappe il governo trova ora un nuovo modo per deresponsabilizzarsi, visto che le Regioni non cadono nella trappola: il Dpcm rimanda le vere decisioni alle mappe di rischio disegnate dai tecnici del Cts. Decisioni politiche delegate agli scienziati. Lo ammette lo stesso presidente della Toscana, pur allineato al governo: «Valuto positivamente l'impianto del Dpcm - dice Eugenio Giani- perché cerca di fissare, intorno a delle regole restrittive, dei criteri il più possibile oggettivi, ma -aggiunge- capisco quei governatori che hanno detto così ci mettiamo nelle esclusive mani del comitato tecnico scientifico».
Il problema è che al di là dei criteri, la decisione di chiudere è politica. Ne è un esempio il clamoroso caso Calabria. Il decreto colloca la Regione in zona rossa. Un paradosso, visto che in una regione con due milioni di abitanti ci sono meno di quattromila positivi, inclusi i migranti ospiti dei tanti centri di accoglienza della Calabria. Inoltre, il numero di vittime è fortunatamente contenuto, 125 in tutto, meno della Val d'Aosta.
E allora perché un provvedimento così duro? È il frutto di una resa drammatica: nonostante un numero irrisorio di malati, le strutture ospedaliere sono talmente mal messe da essere già in sofferenza e i posti letto in terapia intensiva sono aumentati di poche unità. Colpa di tagli durissimi dovuti a 12 anni di commissariamento della Sanità da parte dello Stato. Nino Spirlì, il presidente facente funzioni della Regione, ha reso pubblica una battagliera lettera scritta a Conte dalla compianta Jole Santelli in cui chiede che venga restituita autonomia alla Regione. Ma il governo tira dritto e rinnova il commissariamento per decreto. «Ci batteremo contro il Decreto Calabria», annuncia battagliero Spirlì.
«Noi -spiega il governatore del Friuli Massimiliano Fedriga- abbiamo chiesto solo che il Cts si confronti con i responsabili dei servizi di prevenzione, tre esperti scelti dalla Conferenza delle Regioni». Ma Conte, dopo aver oscurato il Parlamento, pare deciso a liberarsi anche della zavorra delle Regioni. Per la prima volta il Dpcm le priva della facoltà di emanare regole più restrittive ma il governatore della Puglia Emiliano si ribella e rifiuta di riaprire le scuole: «Se il governo lo ritiene necessario chieda la revoca della nostra ordinanza».
Critico il governatore campano Vincenzo De Luca: «Il coprifuoco alle 22? Misura contro il randagismo». E anche lui annuncia che non riaprirà le scuole. protesta invece per la scelta di classificare come arancione la Sicilia. È muro contro muro.
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