Nuova stoccata di Mattarella a Putin: inaccettabile narrativa sul nucleare

Il presidente in visita a Hiroshima incontra i sopravvissuti: "Mai più". Poi dice: "Sconsiderate e irresponsabili le minacce all'Ucraina sugli ordigni"

Nuova stoccata di Mattarella a Putin: inaccettabile narrativa sul nucleare
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L'arco della memoria, livido, essenziale, piegato dal dolore. Lo scheletro della cupola. Il vento gelido che muove gli alberi dalla punta arrotondata. Tutto è simbolo a Hiroshima, avvolta nel freddo dell'inverno giapponese e dalle nuove paure, tutto è sofferenza. E ottant'anni dopo Little Boy, la prima bomba, tutto è di nuovo in bilico. Infatti «il tabù» si è rotto, dice Sergio Mattarella, e «pericolose derive» agitano la civiltà. «L'architettura del disarmo e della non proliferazione delle armi di distruzione di massa appare minata da irresponsabili retoriche di conflitto». La colpa è di Mosca. «Minacce di ricorso agli ordigni atomici sono pronunciate con sconsideratezza inquietante. La Federazione Russa si è fatta promotrice di una rinnovata e rischiosa narrativa nucleare».

Dunque, è ancora il Cremlino il bersaglio del Colle, è ancora lo zar che mette «in gioco i destini dell'umanità» per i suoi disegni di conquista. Una linea dura, spesso intransigente, che ha esposto Mattarella a pesanti polemiche, attacchi informatici, azioni di disturbo vario. Lui però tira dritto e, quando si discute dell'aggressione all'Ucraina, alle volte sembra addirittura più fermo di Macron. Che c'è dietro? «Nulla, parla la sua storia», spiegano al Quirinale. La fedeltà all'Alleanza Atlantica e ai valori della democrazia, del rispetto delle regole di convivenza tra i popoli, del rifiuto a risolvere le controversie con le armi. Senza dimenticare il suo incarico di ministro della Difesa, l'essere democristiano da una vita, quando i nemici erano sempre a Mosca.

Quelli di oggi non sono tanto meglio. Dai paragoni con il Terzo Reich alle accuse di sopraffazione e di «violazione del diritto internazionale», dalla necessità di «una pace giusta e non basata sulla prepotenza» alle richieste di garanzie di sicurezza per Kiev. E adesso un altro passo, il pericolo atomico che viene dall'est. E sì, insiste il presidente dopo aver deposto una corona di fiori a Hiroshima e aver ascoltato il racconto dei sopravvissuti, perché non ci sono soltanto l'invasione di un Paese sovrano alla faccia dell'Onu, o la retorica sulle armi di distruzione di massa. «Alla narrativa nucleare - dice - si aggiungono il blocco dei lavori dell'accordo di non proliferazione, il ritiro dalla ratifica del trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari e le minacce dirette all'Ucraina».

Fatti, non parole. Giorno dopo giorno «si moltiplicano gli arsenali e la voglia di dominazione. Piano piano «si sta installando l'inaccettabile idea che gli ordigni tattici possano divenire strumento ordinario nella gestione dei conflitti, come se non conducessero inevitabilmente alla distruzione totale». È la sindrome del dottor Stranamore. «Il tabù nucleare», che ha retto il mondo dalla fine della Seconda Guerra mondiale, «viene eroso, pubblicizzando l'esistenza di armamenti atomici di cui si sottolinea la portata limitata, controllabile, asseritamente circoscritta a singoli teatri di operazioni e dunque implicitamente suggerendo la loro accettabilità nell'ambito di guerre che si pretenderebbero locali».

Un'atomica in pillole, prête-à-porter. Normalizzata, sdoganata. No, insiste il capo dello Stato, non si può stare a guardare. «Occorre ribadire che un conflitto nucleare non può essere vinto da nessuno e quindi non deve essere combattuto». Non è immaginabile oggi, 2025, «essere corresponsabili del ritorno a criteri di scontri imperialistici», si metterebbe in discussione «il cammino faticoso dell'umanità negli ultimi 80 anni». Da qui l'appello alle Nazioni Unite e ai membri del Consiglio di sicurezza. «Italia e Giappone sono consci dei pericoli e invitano a sostenere le nostre civiltà».

Le organizzazioni internazionali saranno pure imperfette, funzioneranno male, non conteranno nulla, andranno riformate. Però, conclude Mattarella, se vogliamo il dialogo c'è poco da fare, «il multilateralismo e il miglior presidio per la pace».

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