Un'unica certezza. Questa: Emmanuel Chidi Nnamdi, 36 anni, profugo nigeriano, è morto. Il resto è una sequenza lunga 4-5 minuti ancora da rimettere insieme. Per riavvolgere poi, come una moviola, cercando di inanellare nella giusta progressione tutti quei frame ancora mancanti.
Tocca agli investigatori farlo. Solo a questo punto le immagini» di una tragedia, troppo frettolosamente liquidata come un omicidio razzista, potranno risultare reali. Ciò che si dice e si scrive, al momento, altro non sono che speculazioni.
Le verità su cosa sia accaduto martedì in via Veneto, a Fermo, non collimano. Anzi sono addirittura opposte. C'è il racconto drammatico, ma chissà se autentico, di Chinyery, la moglie della vittima; c'è la ricostruzione dell'arrestato, Amedeo Mancini, il «bifolco» trentottenne forse travolto dalla sua stessa prepotente arroganza, ma che giura di essere stato aggredito. Quattro testimoni, sembra l'abbiano confermata alla polizia. Nel mezzo, o meglio su tutte, c'è l'aprioristica condanna del prete, non un semplice sacerdote ma un «potente» don che di profughi e immigrazione ne ha fatto un «affare» cristiano capace di renderlo inviso non solo a mezza città. Don Vinicio Albanesi, lui è l'uomo che da subito ha sostenuto incondizionatamente una tesi, ovvero quella della moglie del defunto, la donna apostrofata «scimmia nera» dal contadino e dunque causa scatenante del litigio mortale. Una versione, che Istituzioni e pubblica opinione, hanno immediatamente accettato e dunque protocollato come «vera».
Emmanuel e Chinyery, da otto mesi erano ospiti nella comunità di Capodarco fondata da don Vinicio, stella di una articolata costellazione di enti, fondazioni e attività varie capaci di intersecare volontariato, assistenza, sanità e cooperative. Lui li aveva sposati, anche se a livello civile quelle nozze nulla valgono (per mancanza di regolare documentazione, ndr); lui ora parlando degli esiti dell'autopsia e delle possibili letture, tuona attaccando: «Emmanuel è morto di botte, e si sta valutando l'ipotesi che non sia omicidio preterintenzionale perché è stato sottoposto a una violenza infinita». Di fatto questa risulterebbe la ricostruzione» più semplice e nella sua oscena banalità, la più sbrigativa.
In realtà l'esame autoptico -che ancora deve essere depositato- rivela che il nigeriano non sarebbe morto ucciso dal pugno sferratogli da Mancini, ma per la frattura del cranio riportata cadendo sull'asfalto.
Francesco De Minicis, avvocato del contadino, fin dall'altro ieri, ha confermato il racconto del suo assistito: «La coppia era vicina a un'auto in modo sospetto. Per questo Mancini ha insultato la donna... Il palo lo ha preso il nero, è pacifico. I primi ad aggredire sono stati i due nigeriani, ma questo è ormai chiaro anche dal capo di imputazione». I segni sulle braccia dell' omicida e le lesioni al costato- esami fatti refertare dopo l'arresto- sembrerebbero confermare la tesi. Così come ha fatto la stessa testimone che martedì chiamò per prima la polizia. Pisana Bachetti adesso vive nell'incubo. «Colpevole», di aver raccontato ciò cui ha assistito. «Lo hanno picchiato per quattro o cinque minuti - aveva raccontato a investigatori e giornalisti - e lo hanno colpito anche con il palo di un segnale stradale». Da quando le sue dichiarazioni hanno fatto il giro di giornali e web le piovono addosso minacce d'ogni tipo. «La mia vita è diventata un inferno.
E questo solo per aver fatto quello che ogni cittadino nella mia situazione avrebbe dovuto fare: chiamare la polizia perché c'era un rissa in corso», si è sfogata ieri.Oggi, domenica, in questo clima di giustizialismo prematuro, ma soprattutto unilaterale, si svolgeranno i funerali Emmanuel. Boldrini e ministro Boschi, presenti sicure.
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