Un interrogatorio fiume per raccontare un fiume: di richieste, di raccomandazioni, di suppliche tracimate sulla Fondazione chiamata ad organizzare le Olimpiadi invernali Milano-Cortina del 2026. In dieci ore davanti ai pm che lo accusano di corruzione e turbativa d'asta, l'ex amministratore delegato della Fondazione Vincenzo Novari ha dipinto un quadro molto italico, in cui l'assegnazione dei Giochi si è trasformata in un gigantesco ufficio di collocamento. Ma ha anche rivendicato di avere scelto gli assunti solo sulla base delle loro competenze, nell'ambito dei poteri assoluti che la legge gli attribuiva, facendosi largo tra un'infinità di curriculum: «Il solo presidente del Coni, Giovanni Malagò, me ne ha mandati cinquecento». E i politici non si tiravano indietro.
Di alcune assunzioni altisonanti, come Livia Draghi - nipote di Mario - e Lorenzo La Russa - figlio di Ignazio - Novari non può certo dire di ignorare le parentele. «Lorenzo La Russa è quello il cui padre mi ha detto Fai come vuoi", quindi non c'era nessun tipo di pressione». La Russa junior aveva un profilo adeguato, «aveva esperienza in eventi ed è andato a lavorare in un team di eventi», ma è chiaro che «il suo curriculum non l'avevo certo trovato per terra». I giovani La Russa e Draghi non sono gli unici vip ad avercela fatta: tutto nel racconto del manager - rimpiazzato dal consiglio d'amministrazione prima dell'inchiesta, per scarsi risultati sulle sponsorizzazioni - sembra svolgersi in una zona grigia, dove di pressioni esplicite non ne arrivano, ma le assunzioni giuste scattano comunque.
Il punto nodale su cui la difesa di Novari, gli avvocati Elena Vedani e Nerio Diodà, si prepara a dare battaglia è semplice: la Fondazione non è un ente pubblico, e come azienda privata è svincolata dalle norme su appalti e assunzioni. La Procura sostiene il contrario. E per questo rivendica il suo diritto a scavare in profondità su come è stato gestito l'intero, vasto business dei Giochi.
Più che sul versante delle assunzioni allegre, Novari sa di rischiare per l'appalto per i servizi informatici andato a Luca Tomassini, titolare delle Vetrya, suo ex socio in affari: «C'è stato solo un rapporto professionale - spiega il manager uscendo dall'interrogatorio - solo per una primissima fase, diciamo in maniera più operativa per mettere in piedi le prime mail e poi invece è stata fatta una gara, un anno dopo, quando avevamo le procedure in corso e che ha vinto contro altri cinque invitati che avevano fatto delle offerte più alte». I soldi che gli sono stati trovati, assicura, hanno tutti un'origine lecita, che viene dal suo lavoro in H3G, «fai l'amministratore delegato di un'azienda che fattura due miliardi all'anno ed è ovvio che i compensi sono alti».
Di fatto, l'indagine della Procura sta scoperchiando aspetti della macchina olimpica poco noti, come l'appalto sontuoso, 176 milioni, alla Deloitte: «un
progetto del Comitato olimpico internazionale - dice Novari - che è arrivato addosso alla Fondazione in corso d'opera. Non era una gara, il Cio sceglie dei partner e li impone». Non sarà reato ma è una storia interessante.
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