C’è una secondo fascicolo nell’inchiesta sulle morti da amianto alla Olivetti. Lo ha aperto la Procura di Ivrea e vi stanno confluendo altri casi di patologie di sospetta origine professionale. Almeno sei, che si aggiungono ai quindici - la morte di quattordici persone e la gravissima malattia di una quindicesima - per i quali nei giorni scorsi è stato notificato a 39 persone il rituale avviso di conclusione indagini. Non una nuova inchiesta, dunque, ma un "Olivetti bis", per non rallentare il corso del procedimento principale e, al tempo stesso, proseguire gli accertamenti.
"La posizione di Carlo De Benedetti è la stessa di tutti gli altri amministratori - ha spiegato Giuseppe Ferrando, procuratore di Ivrea, in un’intervista a Libero - le scelte di fondo passavano dal datore di lavoro, ovvero dall’amministratore e da tutto il consiglio. Non siamo di fronte a casi limitati, a una singola controsoffittatura, di cui è chiaro che il cda poteva non essere informato. Questa è una situazione diversa. Quando ti dicono che la produzione è a rischio amianto e che nelle controsoffittature di tutti i locali è presente l’asbesto, a quel punto sei stato informato". A essere colpiti dalle patologie per le quali i magistrati eporediesi indagano, ovvero mesotelioma pleurico e mesotelioma peritoneale, sono anche in questo caso lavoratori della Olivetti adibiti a varie mansioni. Dal montaggio delle macchine per scrivere alla manutenzione delle macchine utensili, ma anche verniciatura e altro. Le fibre di amianto erano presenti nel talco utilizzato per alcune operazioni. Secondo le indagini, però, si disperdevano negli ambienti anche per le condizioni dei locali e per quella che Ferrando ha definito "carenza di prevenzione".
Omicidio colposo e lesioni colpose i reati ipotizzati anche nel fascicolo bis, gli stessi che compaiono nell’avviso di chiusura indagine notificato nei giorni scorsi a trentanove persone che, a partire dagli anni Sessanta, hanno ricoperto incarichi di vertice nella società e nelle sue articolazioni. Tra i destinatari del provvedimento di giovedì scorso c'è appunto Carlo De Benedetti, amministratore delegato e presidente del consiglio di amministrazione dal 1978 al 1996, che ha ribadito la "totale estraneità" ai fatti contestati. Eppure nell'intervista rilasciata a Libero, Ferrando ha messo bene in chiaro perché ha indagato l'Ingegnere per omicidio colposo. "La colpa è di non aver saputo, quando invece bisognava sapere - ha continuato il magistrato - se noi avessimo contestato un dolo avremmo dovuto dimostrare la consapevolezza di compierlo degli indagati, ma nel caso dell’omicidio colposo, anche il fatto di non sapere può trasformarsi in reato".
Adesso la palla passerà agli indagati. "Nel prosieguo del processo o in questa fase in cui le persone possono chiedere di essere interrogate - ha continuato Ferrando - non è detto che uno non possa limitare, specificare, precisare quali fossero i propri compiti". Alcuni indagati potrebbero uscire dall’inchiesta dimostrando, per esempio, di non aver avuto capacità di spesa. "Se un dirigente ci dicesse: 'Ho detto che serviva tot per fare quella bonifica, e mi hanno risposto soprassediamo, aspettiamo o vedremo' - ha spiegato il pm - ebbene, a questo punto la sua responsabilità sarebbe tutta da ridiscutere".
Ferrando ha tuttavia amesso che le deleghe dei dirigenti non erano "piene sia sotto il profilo della capacità giuridica sia della capacità di spesa". Di fronte a una delega limitata si risale a chi ha dato quella delega. In questo caso al consiglio di amministrazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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