In un angolo di Montecitorio in un drappello di deputati di sinistra, il lembo più estremo della maggioranza extra-large di Mario Draghi, ci si domanda se poi quella strana contraddizione in termini logistici messa in piedi dal governo tenere aperti i ristoranti e mantenere il coprifuoco alle 22 e non alle 23, come chiedevano Salvini e le Regioni sia stata una grande trovata o no. «Non si può dire perché Salvini è quello che è confida il piddino Luciano Pizzetti ma in questo caso ha ragione lui. Allora era meglio non aprire i ristoranti. Bersani come fa ad andare alla Crepa il suo ristorante preferito? Non ce la fa a cenare e a tornare a casa sua per quell'ora». «Ci vado a mezzogiorno», risponde quasi piccato un Bersani che passa lì per caso. L'ex segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, ora in Leu, spezza, invece, una lancia in favore di Mario Draghi, ma apre un altro fronte: «Con l'aumento vertiginoso dei contagi in Germania e Francia capisco la sua prudenza, ma allora perché ha riaperto le scuole, vero volano dell'epidemia, tantopiù che fra un mese chiuderanno. Si poteva attendere il nuovo anno scolastico a settembre». Una botta al cerchio e uno alla botte. «Il problema di Draghi sono le conclusioni di un altro Leu, Nico Stumpo è che deve dare un po' di guazza a destra e un po' a sinistra. Ma così finisce nei guai. Allora era meglio Conte».
Alla fine quelli che dovrebbero essere i più contenti per il coprifuoco alle 22, cioè il partito del rigorista per antonomasia, Roberto Speranza, con quell'«era meglio Conte» hanno azzardato l'affronto peggiore per Draghi. Pensate cosa possano pensare i leghisti che con Giorgetti hanno comunicato la loro astensione l'altro ieri all'inizio del consiglio dei ministri, o i forzisti e Italia Viva che sulla questione gli hanno dato manforte con la Gelmini e la Bonetti («A me ripete da un mese Renzi il coprifuoco non mi garba») ma hanno voluto evitare una rottura plateale con il premier.
Già, le spine del Dragone. Una polemica dietro l'altra. Ieri ci ha pensato il sottosegretario alla Giustizia, Anna Macina, a creare un altro problema per rispondere al grido di aiuto di Beppe Grillo, che ha sollevato un vespaio con il suo video in favore del figlio accusato di stupro. La Macina, che è una giustizialista tutta d'un pezzo (rispetto a lei Marco Travaglio è un parente stretto di Cesare Beccaria), ha attaccato frontalmente la senatrice Bongiorno, rea di essere legale di Salvini ma anche della ragazza italo-svedese vittima dello stupro. Ha ipotizzato una sorta di conflitto di interessi. Risultato mezzo Parlamento ne ha chiesto la testa: la Lega sta ragionando su una possibile mozione di sfiducia; la Meloni quasi sicuramente la presenterà; Forza Italia ha chiesto al ministro Cartabia di porre fine alla «sgrammaticatura istituzionale» del sottosegretario; Enrico Costa per Calenda ha chiesto alla Guardasigilli di ritirare le deleghe alla Macina; Enrico Ferri gli ha intimato di «chiedere scusa alla Bongiorno». «O la Macina rettifica - avverte il renziano Michele Anzaldi o la questione della sua permanenza al ministero si pone». «Il problema è più di fondo chiosa l'azzurro Zanettin -: nella Storia di questo Paese gente del genere non è mai arrivata a fare il sottosegretario!».
In questa situazione, ieri in Parlamento, c'è chi ha cominciato ad interrogarsi sul futuro del governo. «Durerà?», è la domanda che l'azzurra Debora Bergamini ha posto a qualche collega. «Piddini e grillini si è sfogato il leghista Bitonci debbono smetterla con le demagogie sulle chiusure. Anche perché un'astensione a un governo a casa mia è un voto contrario. C'è bisogno di una riflessione». «Strapperà o no la Lega?», ha cominciato chiedersi pensieroso l'azzurro Valentino Valentini, mentre il piddino Carmelo Miceli, sull'altro versante, spiegava: «Ci possono essere dei problemi di comunicazione del governo, ma se qualcuno comincia a specularci su, come la Lega, salta tutto».
Ora, per essere chiari e per non stare appresso alle menate, questo governo non salterà: l'eventualità di una crisi sarebbe per tutti un triplo salto mortale finito male. Il rischio vero, invece, è che questo tran tran finisca per logorare Draghi, specie se il suo obiettivo è quello di andare al Quirinale. Solo che i problemi di Draghi qui sta il punto - li può risolvere solo Draghi. «Deve dimostrare di avere quel senso politico confida Valentini che per ora non dimostra di avere». Il che non significa misurare ciò che deve dare a Salvini e ciò che deve concedere a Letta. Non vuol dire tentare uno slalom impossibile tra i partiti della sua maggioranza con l'idea fissa che non può dire due volte «sì» a Salvini o due volte «no» a Letta, semmai fare una proposta coerente, di buonsenso, logica spiegabile all'opinione pubblica. La scelta peggiore è, ad esempio, aprire i ristoranti la sera per dare «la guazza» a Salvini e mantenere il coprifuoco per dare «la guazza» a Speranza. Se decidi di aprire i ristoranti li fai chiudere almeno alle 23, e «chissene» di Speranza. O, altrimenti, li tieni chiusi, e «chissene» di Salvini. Insomma, non c'è nulla di peggio della via di mezzo perché non la spieghi ad un'opinione pubblica sfinita, prostrata da un anno di calvario; un'opinione pubblica che vuole comprendere, convincersi nel merito di decisioni che gli impongono nuovi sacrifici. «A Napoli ironizza il forzista Zangrillo alle 22 si sono appena seduti a tavola». «A Palermo osserva il siciliano Miceli siamo all'aperitivo».
Appunto, la parola chiave è «depoliticizzare», non stare appresso ad un confronto politico che è arrivato ad ingaggiare uno «scontro ideologico sulla questione di lana caprina della chiusura alle 22 o alle 23», o tentare di chiudere un'intesa a tutti i costi che poi qualcuno rimette in discussione 24 ore dopo. Semmai avanzare una proposta coerente, spiegabile ai cittadini: non scrivere su un provvedimento che il coprifuoco durerà fino al 31 luglio e poi far saper, per vie traverse, che si rivedrà tutto tra quindici giorni. «Come fa il premier a non avere ancora un portavoce?», si domanda Valentino Valentini dall'alto della sua esperienza decennale a Palazzo Chigi con Berlusconi.
Draghi, quindi, deve spiegare direttamente il senso delle sue decisioni al Paese, si tratti delle chiusure o delle riaperture, del caso del sottosegretario Macina o del rapporto delle Regioni. Perché dopo un anno di tragedia tutti hanno i loro problemi con l'opinione pubblica e nessuno fa sconti semmai gioca a scaricabarile. Un mese fa il Financial Times ha indicato nella Puglia la regione simbolo del malfunzionamento della campagna vaccinale in Italia. L'altro giorno il sottosegretario Scalfarotto ha chiesto a Emiliano di favorire le categorie fragili rispetto quelle che si tirano dietro il consenso.
E la sottosegretaria all'Ambiente, Messina, vicina al governatore, per tutta risposta ha tessuto le lodi delle inoculazioni tra i trulli e gli ulivi, omettendo i dati. Già, in un paese prostrato non c'è più rispetto neppure per i numeri.
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