Ormai la cucina italiana non parla più inglese. È la crisi di un modello?

Jamie's, Carluccio's e Prezzo, tante chiusure. L'ipotesi di una "bolla della ristorazione"

Ormai la cucina italiana non parla più inglese. È la crisi di un modello?

La pasta è morta, e anche la ristorazione non si sente molto bene...

La notizia, tra il provocatorio e l'ozioso, tipicamente di fine estate viene dal Guardian, quotidiano britannico: i consumatori stanno snobbando la cucina italiana. Colpendo in primis uno dei suoi simboli: la pasta. Che per il sesto trimestre successivo (a fare i conti si tratta di un anno e mezzo) segna un declino nei ristoranti d'Oltremanica. Il motivo è presto scodellato; le cucine etniche tradizionali (sì, all'estero siamo etnici pure noi) indiana, italiana e cinese vengono abbandonate a favore delle emergenti caraibica e mediorientale. Che oltre a quel brivido di novità di cui noi buongustai non possiamo fare a meno hanno il vantaggio di avere tanti piatti vegetariani. La tesi sembra avvalorata dal recente fallimento di importanti catene di ristoranti di cucina italiana come Jamie's Italian l'impero del simpatico e politically correttissimo Jamie Oliver che dopo avere calato milioni di suoi risparmi nell'impresa ha dovuto chiudere i suoi 22 ristoranti «in patria». Stesso destino per Carluccio's (35 chiusure lo scorso anno) e Prezzo (oltre 100 serrate). E mentre gli italiani chiudono, vegetariani, caraibici e mediorientali crescono a due o tre cifre.

Non è il caso di mettere una pietra tombale sulla nostra gloriosa tradizione culinaria però, come dimostra un recente studio di Joel Waldfogel della University of Minnesota che ha calcolato la «bilancia gastronomica» di 52 Paesi partendo da dati di TripAdvisor ed Euromonitor. L'influenza di un tipo di cucina è stata calcolata con la sua presenza all'estero, con la cucina etnica trattata come importazione e la cucina nazionale consumata all'estero come esportazione. Il risultato? È l'Italia il maggiore esportatore di idee culinarie, pizza, pasta e gelato, e ora pure tiramisù e panettone. Con un «surplus» culinario di 168 miliardi di dollari sbaraglia il Giappone (al secondo posto, sotto i 50 miliardi). Il calcolo, va detto, comprende quelle catene di pizzerie che di italiano hanno ben poco. Ed è accresciuto dalla presenza limitata di ristoranti etnici nel Belpaese. Ma dà un'idea dell'influenza delle cucina italiana nel mondo.

Le chiusure dei ristoranti italiani sembrano piuttosto un sintomo della crisi della ristorazione tout court. Nel Regno Unito, in 12 mesi da giugno 2018 il numero di ristoranti è calato del 3,4 per cento, con 18 chiusure a settimana. Certo, loro hanno la Brexit e la crisi all'uscio. Ma dopo anni di crescita (Regno Unito e Spagna sono le uniche nazioni europee che mangiano fuori più di noi) spinta dai nuovi stili di vita (chi ha più tempo e voglia di cucinare regolarmente a casa?) potremmo essere arrivati pure noi al capolinea.

È la bolla della ristorazione: come tutte le bolle è destinata a scoppiare. Ci raccontava uno chef noto per le sue analisi lucide: è inutile che ci agitiamo (il tema era la robotica e i ristoranti automatizzati) perché è lì il futuro. Il fatto che sempre più gente mangi fuori non significa infatti che siamo tutti più ricchi, anzi. Mangiamo fuori ma possiamo spendere poco e il sistema fatica a stare in piedi e i ristoranti a mantenere i prezzi bassi. Lo fanno in due modi: personale sottopagato (pagato in nero, con largo uso di praticanti) o materia prima scadente.

Il consumismo non prevede regali, alla lunga. Forse qualcuno ricorda quando andare al ristorante era una cosa speciale, solo le famiglie benestanti ci andavano tutte le domeniche. Oggi ci vanno tutti, studenti, precari, ragazzini spendendo poco e mangiando fast, ma il sistema reggerà? La bolla forse è già pronta a scoppiare: in Italia ogni anno aprono tanti ristoranti nuovi di zecca, ma molti di più chiudono i battenti. Nel 2018 secondo Fipe hanno debuttato 7412 ristoranti, ma 13.742 hanno chiuso per sempre con un saldo negativo di 6330 unità. Ogni 100 imprese insomma, 3,4 si sono perse per sempre.

Insomma la pasta è solo l'avanguardia di un problema più grande.

La crisi è all'orizzonte e in alcuni ristoranti meno accorti e attenti al marketing, all'accoglienza, alla gestione e al conto economico potrebbe stare già suonando la campana dell'ultima cena. E che sia a base di pasta o sushi o hummus, la nostra vita, ancora una volta, cambierà.

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